La Gerusalemme liberata di Torquato Tasso con tavole di Giambattista Piazzetta
Testo di Torquato Tasso, tavole di Giambattista Piazzetta 1745Il contesto culturale: l’editoria a Venezia a metà del Settecento
Venezia, vera e propria capitale del libro a stampa per gran parte del Cinquecento, aveva assistito al progressivo declino del suo mercato editoriale a partire dal 1596, quando l’emanazione dell’Indice Clementino, elenco di letture proibite stilato dalla Chiesa in seguito al concilio di Trento, provocò il collasso del settore librario, con la chiusura di oltre 80 torchi e l’inevitabile crollo della quantità e della qualità dei volumi stampati. Il XVII secolo, contraddistinto da un rapido sviluppo della produzione incisoria soprattutto nei grandi centri dell’Europa Settentrionale, vide gli artigiani nordeuropei raggiungere una precisione tecnica tanto elevata da divenire un punto di riferimento.
Solo dai primi anni venti del Settecento, infatti, i veneziani poterono tornare a godere di un fervido clima culturale, rianimatosi grazie alle attività di una élite intellettuale, che aveva promosso lo sviluppo di circoli da cui scaturiva un nuovo interesse per le tematiche erudite più eterogenee in linea con le tendenze europee. Le nuove esigenze culturali portarono in breve tempo ad una crescita esponenziale dell’artigianato editoriale dovuta non tanto all’apertura di nuovi torchi da stampa, che nel 1773 erano solamente 70 rispetto ai 150 di metà Cinquecento, quanto all’incremento della qualità delle pubblicazioni; non a caso, il periodo intercorso tra il 1735 e il 1750 fu segnato da un’incessante evoluzione dell’industria libraria con l’affermazione di numerose collaborazioni tra editori colti e artisti. La forte identità culturale di alcune città del Veneto favorì, inoltre, una certa specializzazione dei centri urbani più progrediti: se Venezia deteneva il primato sulle pubblicazioni relative alla storia della Chiesa, Verona primeggiava negli studi archeologici e di antichistica, mentre a Padova proliferavano i trattati di storia e linguistica. Anche se già alcuni istituti, come quello del Privilegio esclusivo, attivo a Venezia dal 1603, tutelavano l’editore dalla concorrenza, il vero rinnovamento fu sancito dalle nuove leggi imposte dalla Repubblica sulla compravendita dei prodotti. Ogni libraio veneziano infatti era tenuto a commercializzare tutti i libri stampati dalla Repubblica a prezzi calmierati, principio che permetteva ai clienti e ai colleghi un più facile reperimento dei titoli ed eliminava il problema della concorrenza sleale. Per quanto riguarda invece l’avvio della produzione, alcuni avveduti editori percorsero la via della sottoscrizione, lanciando il proprio progetto attraverso un manifesto di partecipazione che assicurava un consistente sconto sui volumi a coloro che si sarebbero impegnati ad acquistarne una copia. Per questa ragione non è insolito identificare, specialmente nei libri di maggior pregio, le dediche ai personaggi illustri e influenti che avevano aderito alla sottoscrizione, offrendo il proprio patronato agli editori che non potevano contare esclusivamente sui propri capitali. È proprio in questo momento storico dunque che si definisce per la prima volta la figura dell’editore moderno, un libraio che, assumendosi il rischio d’impresa, si avvaleva del supporto di diverse professionalità per realizzare il proprio progetto editoriale, con l’intento di tenere ben distinte la fase produttiva da quella commerciale.
Il rapporto tra editore e artista: la collaborazione tra G.B. Albrizzi
e G.B. Piazzetta
Nel novero degli editori che contribuirono alla riaffermazione dell’industria libraria a Venezia nella prima metà del Settecento, si distinse Giambattista Albrizzi che, in un contesto di agguerrita concorrenza, riuscì a ritagliarsi un ruolo chiave nello sviluppo di un mercato ancora in forte crescita. Discendente da una dinastia di tipografi e librai di grande prestigio e provvisto di spiccate capacità gestionali, egli portò avanti la tradizione artigiana familiare contribuendo a mantenere l’impresa in attività per quasi un secolo e mezzo. Il fondatore, Girolamo Albrizzi, era nato a Venezia nel 1662 e fino al 1713 si era contraddistinto non solo per l’innato spirito imprenditoriale, ma soprattutto per il gusto raffinato che caratterizzava ogni prodotto realizzato dalla sua bottega. Alla morte di Girolamo l’attività fu suddivisa tra i due figli maschi che intrapresero strade completamente diverse: Almorò, il più ambizioso, fondò una società letteraria, scelta che gli attirò aspre critiche da parte dell’élite culturale veneziana; Giambattista invece, più prudente e avveduto, proseguì il mestiere del padre nella gestione della tipografia di famiglia, già ben avviata. Egli si impegnò a realizzare volumi capaci di distinguersi sul mercato per una nuova veste formale, sempre più artistica e raffinata, impegno che gli permise di sviluppare un proficuo rapporto con Giambattista Piazzetta, pittore già affermato nella Serenissima. L’artista infatti, con ardimentosa inventiva, realizzò tutte le tavole dei primi otto volumi e le testate e i finalini dei primi sei delle Oeuvres di Bossuet, stampate tra il 1736 e il 1757. Il vero apice della collaborazione fu raggiunto però solo nel 1745, con la pubblicazione della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, in cui il tono più malinconico delle immagini delle Oeuvres lasciò spazio ad un vivace apparato grafico, derivante da un brillante lavoro di squadra coordinato dall’editore. Ma la lungimiranza di Albrizzi si manifestò anche vent’anni più tardi quando il grande successo riscosso dal volume, nonostante il costo proibitivo di otto zecchini d’oro, portò l’editore a stampare un album che, per sole 20 lire, raccoglieva tutte le incisioni della Gerusalemme liberata: intervento che giustifica l’ampia diffusione delle stampe dell’artista anche dopo la sua morte. Un’intesa professionale dalla quale scaturirono più di 60 disegni di Piazzetta per l’editore e che favorì la nascita di una sincera amicizia tra i due, testimoniata dall’illustrazione di chiusura della Gerusalemme liberata, nella quale ambedue sono raffigurati intenti a discutere, immersi in un paesaggio rurale. La felice collaborazione terminò solo con la morte dell’artista, avvenuta nel 1754, che venne commemorata dall’amico con la pubblicazione degli Studj di pittura, ossia la riproduzione di 24 tavole di Piazzetta corredate da un manuale propedeutico per l’avvicinamento dei giovani alla pittura. Quest’opera celebrativa non era solo destinata agli studenti che si apprestavano a imparare l’arte del disegno, ma a tutti gli amanti dell’arte che avrebbero potuto onorare la memoria del maestro conservando alcuni dei suoi saggi grafici più significativi e originali.
Giambattista Piazzetta
Nato a Venezia nel 1682, Giambattista Piazzetta è considerato uno dei massimi esponenti della corrente dei cosiddetti tenebrosi la cui poetica, diffusa in laguna dal napoletano Luca Giordano a metà del Seicento, si manifestava attraverso un’intensa drammaticità emozionale e un forte incupimento dei toni in favore di un maggior rigore dei contrasti di luce e d’ombra. Allievo di Antonio Molinari a Venezia, nel 1704, alla morte del maestro, il giovane artista si reca a Bologna dove, nel tentativo di sviluppare quanto appreso durante la prima formazione, studia la pittura dall’accentuato cromatismo di Giuseppe Maria Crespi, sviluppando un linguaggio pittorico a macchia nel quale gli infuocati giochi chiaroscurali si fondono con un cupo realismo di matrice popolare. Non avendo notizie certe sulla durata degli spostamenti del pittore, si fissa come spartiacque nella carriera dell’artista l’anno 1711, quando viene ufficialmente registrata la sua iscrizione alla Fraglia dei pittori veneziani. Nonostante il rientro a Venezia nel pieno della stagione del revival veronesiano, che raggiunge il culmine ai primi del Settecento grazie alle opere di Sebastiano Ricci, persistono nella pittura di Piazzetta, almeno fino alla fine degli anni venti, infocate intonazioni coloristiche e un intenso chiaroscuro. Solamente dai primi anni trenta del Settecento l’artista, avvicinandosi alla corposità pittorica dei grandi maestri del primo Seicento, inizia a schiarire toni e atmosfere, mantenendo tuttavia i forti contrasti di luce e di ombre che rendono vibrante il colore nelle sbavature delle forme e irrompono, negli anni della piena maturità, in un pittura che si forgia nella luce.
Nel percorso di attenuazione del proprio rigore chiaroscurale le soluzioni pittoriche di grandi maestri come Domenico Fetti e Johann Liss sono il punto di partenza per Piazzetta. Il progressivo diminuire della produzione di opere religiose dei primi anni quaranta agevola l’apertura verso nuove tematiche agresti e bucoliche, caratterizzate da una luminosità fiabesca che irradia i contadini e le giovani popolane, divenuti progressivamente i soli protagonisti dei dipinti dell’artista. Saranno proprio questi soggetti a diventare rappresentativi nella produzione di libri istoriati della Venezia settecentesca, comparsi per la prima volta nelle Oeuvres di Bousset, edite da Albrizzi nel 1736 con la collaborazione di Piazzetta.
L’impetuoso temperamento creativo di Piazzetta non è verificabile solamente in pittura, ma anche nelle sorprendenti incisioni che corredano i volumi delle Oeuvres e della Gerusalemme liberata, realizzate su disegno dell’artista, il quale li elabora con un’attenzione spasmodica che si riflette nei numerosi album di disegni conservati a Torino, San Pietroburgo e New York. All’inizio del quinto decennio del Settecento, con l’incremento della produzione grafica, si verifica però una sorta di frenata nella produzione dell’artista e le sue opere pittoriche sono investite da un’acuta crisi. Nel 1750, Piazzetta viene incaricato della direzione della Pubblica Accademia di Pittura e Scultura costituita dalla Serenissima, un impegno ed un ruolo che provocano l’inaridirsi della sua peculiare poetica giovanile a favore di un più accentuato accademismo. La stanchezza manifesta delle composizioni delle ultime opere non intralcia però lo sviluppo di un nuovo interesse per le tematiche storiche, divenute caratteristiche proprio di questo ultimo periodo di attività, nonostante la presenza di cospicui interventi della bottega.
Le edizioni della Gerusalemme liberata
La controversa vicenda delle edizioni della Gerusalemme liberata ha indotto la critica ad elaborare diverse ipotesi sull’originale progetto albrizziano che, ancora oggi, non hanno trovato esito in un’univoca interpretazione. Nel tentativo di classificarne le vesti editoriali, gli studiosi sono giunti a una chiara suddivisione degli aspetti caratterizzanti di due tipologie:
Edizione A:
a) Incisione raffigurante Maria Teresa anziana
b) Superficie più ampia delle 20 grandi tavole rispetto all’edizione B
c) Versi di introduzione alla base delle tavole
d) Incisioni “libere” senza decorazioni e cornici
Edizione B:
a) Incisione raffigurante Maria Teresa giovane
b) Varie differenze nelle tavole rispetto all’edizione A
c) Dediche e stemmi dei sottoscrittori alla base delle tavole
d) Testate e finalini poggianti su mensole in stile rococò
Nonostante alcuni esemplari noti corrispondano fedelmente a questa classificazione, esistono numerosi casi che presentano ulteriori variazioni d’impostazione, come nel caso del libro attualmente in esposizione proveniente dalla collezione Corrado Mingardi. Questa copia infatti, pur aderendo alle caratteristiche formali dell’edizione B, si apre con l’incisione raffigurante Maria Teresa anziana. Anche se spesso la critica ha tentato di riconoscere, nell’una o nell’altra edizione, possibili elementi di contraffazione, è ormai accertato che Albrizzi nel 1743, prevedendo il successo che l’uscita della Gerusalemme liberata avrebbe riscosso, aveva ideato due edizioni diversificate. Questa decisione gli permise di scongiurare eventuali concorrenze sleali di altri editori che, resisi conto di quanto potesse essere redditizio copiare il volume, avrebbero potuto concepire una seconda edizione da immettere nel mercato prima che Albrizzi fosse riuscito a soddisfare tutte le richieste dei suoi lettori. Inoltre le incisioni della Gerusalemme liberata conservate all’Albertina di Vienna presentano diverse correzioni con gessetto nero, riconosciute come autografe del Piazzetta, modifiche poi ravvisabili nelle incisioni dell’edizione B che, non solo attesterebbero una revisione dei primi disegni da parte del maestro su probabile richiesta dell’editore, ma confermerebbero l’autenticità dell’ideazione di tutte le stampe, nonostante sia acclarato uno scarto qualitativo tra le due serie.
Non è dunque possibile stabilire in modo certo quale tipologia sia da considerarsi la prima vera edizione albrizziana, ma è importante ribadire l’esistenza di plurime edizioni, spesso ibridi delle tipologie A e B, che dimostrano ancora una volta quanto fervore avesse procurato negli acquirenti l’idea di possedere una copia della Gerusalemme liberata illustrata dal Piazzetta, ancor prima della sua pubblicazione.
5. L’edizione albrizziana della Gerusalemme liberata
Durante il suo soggiorno veneziano del 1740, Johann Caspar Goethe, trovandosi nella calca delle Mercerie che tra San Marco e Rialto ospitavano all’epoca gran parte delle botteghe librarie, ebbe la fortuna di vedere, tra i primi, alcune illustrazioni a stampa per la nuova edizione della Gerusalemme liberata, che Giambattista Albrizzi esibiva in anteprima con gran compiacimento.
Il progetto di realizzare un volume istoriato dell’opera di Torquato Tasso, che l’editore non esitava a designare ancor prima della pubblicazione come il suo massimo capolavoro, era probabilmente già stato concepito qualche anno prima, dopo la prima collaborazione con Giambattista Piazzetta per le Oeuvres di Bossuet. L’apparato illustrativo della Gerusalemme liberata, stampata nel 1745, è costituito da una cospicua serie di illustrazioni tra cui una complessa antiporta, raffigurante una scena allegorica di celebrazione della poesia e dell’ispirazione artistica, una tavola con il ritratto a figura intera di Maria Teresa d’Austria, alla quale il volume è dedicato, venti grandi tavole che illustrano le vicende narrate nel poema e sessantadue piccole incisioni tra capilettera, testate e finalini in apertura e chiusura dei venti canti. Tra le piccole scene, la più originale rimane senza dubbio quella che, in chiusura del volume, suggella e celebra la proficua collaborazione tra Piazzetta e Albrizzi, ritratti insieme in un arioso paesaggio agreste che si conforma all’atmosfera bucolica che si ritrova in tutti i finalini. È da notare inoltre la presenza dello stemma dei sottoscrittori dell’edizione ai piedi di ogni tavola, corredato di una breve dedica encomiastica a ringraziamento di coloro che, grazie al proprio contributo economico, avevano reso possibile la pubblicazione del libro. Anche se la critica ha diffusamente riconosciuto l’eccezionalità delle incisioni, soprattutto sul piano ideativo, non è possibile riconoscere la medesima originalità nell’impaginato e nella veste editoriale, un dato di fatto che crea grande disparità tra le valutazioni degli storici dell’arte, che lo ritengono il più bel libro istoriato del Settecento, e degli storici del libro, che ne sviscerano le criticità tipografiche. Tuttavia, si può affermare con certezza che la Gerusalemme liberata edita da Giambattista Albrizzi diviene un punto di riferimento nel panorama del mercato librario del Settecento sia in considerazione dell’originalità dell’apparato illustrativo, sia del vastissimo successo riscosso dalle numerose edizioni. Dal confronto con alcune versioni precedenti della stessa opera, in particolare con la celebre edizione genovese del 1671 illustrata da Bernardo Castello, è possibile osservare come Piazzetta, nell’ideare le illustrazioni, abbia in parte accantonato l’originale veste religioso-eroica del poema, informata ai principi della Controriforma, concentrandosi su una lettura più sentimentale e patetica della vicenda. Molto originale risulta anche la scelta degli episodi da illustrare, che non sembra seguire logiche di emulazione ma, al contrario, la chiara volontà dell’artista di emanciparsi dalle scelte dei suoi predecessori. I soggetti selezionati spostano infatti l’interesse del lettore dal motivo epico-cavalleresco a quello amoroso, ponendo l’accento, nello svolgersi del complesso intreccio, sui sentimenti dei personaggi che, per Piazzetta, diventano il vero motore della trama, in linea con le correnti artistiche e letterarie più in voga del Settecento.
La trama del poema
La vicenda si svolge nel corso della prima crociata, indetta da papa Urbano II nel 1095 nel tentativo di salvare la Chiesa d’Oriente e la città santa di Gerusalemme dagli oppressori turchi.
Il condottiero cristiano Goffredo di Buglione, in seguito all’apparizione dell’arcangelo Gabriele, esorta i suoi compagni a riprendere le forze per portare a termine la crociata e liberare il Santo Sepolcro dall’assedio nemico. Accolto il messaggio divino e designato Goffredo come capitano della spedizione, l’esercito giunge alle porte di Gerusalemme dove il re Aladino sta coordinando la sua armata per la difesa della città. Iniziato l’assedio, Satana invia in aiuto dei mussulmani i demoni e la maga Armida che, recandosi nell’accampamento cristiano, ammalia i guerrieri al fine di rapirli e imprigionarli nel suo castello. Nei due schieramenti si distinguono fin da subito i due eroi turchi, Argante e Clorinda, e i due cristiani, Tancredi e Rinaldo. Nel frattempo il furto di un’icona della Vergine, che re Aladino aveva fatto sottrarre al nemico e collocare, con spirito blasfemo, in una moschea, provoca l’ira del sovrano turco che decide di trucidare la popolazione cristiana. La giovane Sofronia, allo scopo di salvare il proprio popolo, si consegna ad Aladino accusandosi del furto; Olindo, il suo amato, si denuncia a sua volta per salvarle la vita: condannati al rogo, vengono entrambi salvati da Clorinda, appena in tempo per scampare alla morte. Lo scontro fra turchi e cristiani imperversa fuori dalle mura della città santa: mentre Rinaldo rimane prigioniero di Armida, Argante sfida a duello Tancredi, di cui è innamorata Erminia, principessa di Gerusalemme. Ella, scorgendo l’amato ferito durante lo scontro sul campo di battaglia, decide di indossare l’armatura di Clorinda per correre in suo soccorso ma, dopo essere stata smascherata, è costretta ad allontanarsi dalla battaglia. Tancredi però, ingannato dal travestimento, la insegue fuori dal campo fino a quando non si imbatte nella maga Armida che lo cattura, facendo anch’egli prigioniero. A questo punto, l’assenza dei due eroi cristiani e il ritardo dei rinforzi inviati dal re Sveno gettano l’esercito in un profondo sconforto dal quale si rinfranca soltanto grazie alla fede di Goffredo e all’aiuto divino. Compiuta una processione sul Monte Oliveto, i cristiani si scagliano contro le mura della città con una torre mobile, ma l’assalto viene interrotto dal calare della notte. Argante e Clorinda riescono a incendiare la torre, ma Clorinda, sfidata a duello da Tancredi che non l’aveva riconosciuta a causa del travestimento, muore tra le braccia dell’innamorato dopo aver espresso il desiderio di essere battezzata. Per bloccare i rifornimenti di legna all’esercito cristiano, Ismeno getta un incantesimo sulla foresta di Saron: è Dio – apparso in sogno a Goffredo – a indicare Tancredi come l’unico capace di rompere la magia. Quest’ultimo, liberato dalle braccia di Armida dai cavalieri Carlo e Ubaldo, torna a Gerusalemme e spezza l’incantesimo, dando il via alla battaglia finale. Il duello tra Argante e Tancredi questa volta vede la morte dell’eroe moro, permettendo così la vittoria dell’esercito cristiano.
Goffredo, nonostante l’intervento dell’esercito egizio, entra così a Gerusalemme e vi pianta la bandiera crociata che segna la vittoria sul mondo mussulmano.
Gli incisori
Se la questione dell’ideazione delle illustrazioni per la Gerusalemme liberata è ben documentata dai numerosi album di disegni di Giambattista Piazzetta giunti fino ai giorni nostri, molto più controverso è il caso del riconoscimento degli incisori che avevano lavorato con il pittore durante tutto il processo di stampa.
Anche se è acclarato che l’artista operava sempre a stretto contatto con i suoi esecutori, al fine di ottenere risultati di altissima qualità, essi rimangono perlopiù sconosciuti. La critica non è affatto concorde riguardo l’identificazione di un unico autore per la realizzazione di tutte le incisioni, nonostante gli ultimi studi abbiano cercato di convergere sulla figura di Martin Schedl (1677-1748), eccetto per il ritratto di Maria Teresa, firmato invece da Felice Polanzani. Ad avvalorare questa ipotesi contribuisce la serie di prove di stampa conservate presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe del Museo di Castelvecchio sulle quali è presente la firma Schedl sc, riscontrabile anche nella testatina del canto settimo dell’esemplare in esposizione. Gli specialisti, negli anni, hanno accostato al nome di Schedl altri intagliatori attivi a Venezia nella prima metà del Settecento e in contatto con Giambattista Albrizzi, come Giovanni Cattini, Marco Pitteri e Francesco Bortolozzi, con i quali però non è attestata alcuna collaborazione connessa alla realizzazione della Gerusalemme liberata. Al sostegno di questa ipotesi contribuisce la discussa disomogeneità qualitativa delle tavole antistanti i venti canti in cui, vagliando diverse edizioni, si rileva una diversa tipologia di incisione. Una delle ipotesi più plausibili è dunque che, considerati il grande successo del libro e la mole di richieste da parte del pubblico, i rami originali delle tavole si siano presto logorati a causa della cospicua produzione e siano stati ad un certo punto sostituiti con nuovi intagli realizzati da altri incisori reclutati dall’editore per affiancare Schedl, o addirittura sostituirlo in seguito alla sua morte. Queste differenze piuttosto evidenti degli apparati illustrativi portano a pensare che il progetto di pubblicazione fosse in continuo sviluppo a seconda delle richieste degli acquirenti, ipotesi sostenuta dalla documentata esistenza di più edizioni del volume, a discapito delle due varianti A e B classificate dalla critica, di cui non è possibile stabilire con certezza la sequenza temporale.
Giulia Adami
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