Loggia del Consiglio o della Gran Guardia

La Loggia del Consiglio si affaccia sul lato meridionale di Piazza dei Signori, all’angolo con via Monte di Pietà. Venne realizzata per le riunioni e le adunanze del Maggior Consiglio in seguito all’incendio che nel 1420 interessò Palazzo della Ragione. Nel 1491 il vecchio edificio che aveva ospitato fino ad allora il Consiglio, dopo quasi un secolo di annessione alla Repubblica di Venezia, si trova in pessime condizioni e si decise la ricostruzione della sede. Nel 1496 venne approvato il progetto di Annibale Maggi da Bassano. Dopo la morte nel 1504 di Maggi i lavori subirono diverse interruzioni fino al 1530, quando il soprastante Marco Orsato chiamò a dirigere il cantiere in veste di proto l’architetto e pittore veronese Giovanni Maria Falconetto che portò a compimento la fabbrica nel 1533. Con la successiva occupazione austriaca e il cambio di destinazione d’uso venne mutato il nome da Loggia del Consiglio a Gran Guardia.

Andrea Chiocca

Palazzo Belloni

Il palazzo, come oggi si presenta, è il risultato di almeno due principali operazioni edilizie condotte a distanza di un secolo l’una dall’altra: una prima intrapresa a cavallo della metà del Cinquecento da parte dei patrizi veneziani Mocenigo; un secondo intervento promosso da parte dai veneziani Belloni nel secolo seguente. Un primo corpo di fabbrica, quello verso sud, sorse negli anni quaranta del Cinquecento per iniziativa di Alvise Mocenigo su un’area delimitata dal canale e l’antica via Sant’Eufemia, su progetto del proto Agostino Righetti da Valdagno. A questa fabbrica il Mocenigo collegava un secondo corpo adiacente ristrutturato nel 1558 dal figlio Leonardo con la consulenza di Andrea Palladio. In una sala dell’ala più antica sempre Alvise Mocenigo faceva realizzare un soffitto in legno dorato con tavole dipinte dal pittore padovano Stefano dell’Arzere, oggi in parte conservate presso il locale Museo Civico (Saccomani in da Bellini a Tintoretto 1991, pp. 167-168). Al figlio Leonardo spetta la commissione dell’apparato ornamentale a fresco ancora oggi presente nell’atrio, sulla volta dello scalone e sulle pareti del salone nobile da attribuirsi a Battista Zelotti.

Nel 1619 lo stabile fu ceduto da Gerolamo Mocenigo a Vincenzo Belloni che a sua volta, in una data successiva al 1632 anno del suo testamento, trasmette il bene al nipote Bartolomeo Belloni nominato suo erede universale. A lui si deve la ridefinizione edilizia di metà Seicento, come ricordava un’iscrizione – oggi scomparsa – murata nell’ipogeo e che celebrava nel 1640 l’avvenuta costruzione dell’edificio con annesso giardino (Mancini 2001-2002, p. 202). A distanza di una decina d’anni Bartolomeo provvedeva anche alla sua decorazione. Alla sua morte nel 1659 il palazzo passava per via ereditaria alla figlia Laura che nel 1664 andrà in sposa in seconde nozze a Giovanni Battaglia. Il palazzo rimase proprietà della famiglia Belloni-Battaglia fino all’Ottocento.

Andrea Chiocca

Palazzo Obizzi

Gli Obizzi disponevano di una residenza di famiglia cittadina nella contrada detta “di Parenzo”, in zona duomo già a metà Quattrocento, nella prima metà del Cinquecento fu abitata dal celebre condottiero Pio Enea e dai fratelli Giovanni Maria, Roberto e Gerolamo. Pur oggetto dei consueti adeguamenti, lo stabile non ha probabilmente ricevuto nel tempo modifiche strutturali significative, se nella condizione presentata all’estimo da Roberto quondam Pio Enea (m.1599) si parla sempre di «una casa grande in Padova in contrada di Parenzo con una stalla oltre la strada, tengo per mio uso et della mia famiglia» (Padova, Archivio di Stato, Estimo, 1615, 154, c. 740). Residenza del celebre collaterale della Serenissima Pio Enea e del figlio Roberto, morto nel 1647, pochi mesi dopo aver steso le ultime volontà con le quali istituiva una primogenitura e un fidecommesso. La disposizione delle stanze si ricostruisce sommariamente seguendo l’inventario dei beni mobili presenti, quadri e arredo compresi, risalente al 1674 (Padova, Archivio di Stato, Archivio Obizzi, 491, c. 8). Gli atti preparatori alla divisione informano che non molto tempo prima del 1682 il palazzo era stato oggetto di un importante intervento edilizio, senza tuttavia fornire certezze in merito all’area interessata, come pure sui tempi e sui promotori dell’operazione. Una porzione antica del complesso edilizio all’angolo con via degli Obizzi, di fronte al Teatro, venne demolita nel 1781 dal marchese Tommaso Obizzi.

Andrea Chiocca

Palazzo Cavalli, poi Bollani, poi Dogana, ora Istituto e Museo di Geologia, Università degli Studi di Padova

La vicenda architettonica del palazzo è ricostruita da Bresciani Alvarez (1977, pp. 170-171). L’edificio risale probabilmente al XVI secolo, di proprietà della famiglia Foscari, ma passato ai Cavalli già sul principio del secolo successivo. Nel 1760 l’edificio passò per via ereditaria alla famiglia Bollani, mentre nel 1840 venne ceduto al Demanio di Stato che vi insediò la dogana. A partire dagli anni Trenta del Novecento l’edificio è sede dell’Istituto e Museo di Geologia dell’Università degli Studi di Padova.

Il palazzo si presenta interamente ornato da affreschi, con un proliferare della decorazione su tutte le pareti che Denis Ton (2018, p. 175) spiega in parte con la collocazione limitrofa del palazzo rispetto agli antichi confini della città, aspetto che ne avrebbe favorito la possibilità di ospitare una stanza “boschereccia” con episodi agresti di caccia.

Se gli affreschi al piano terra possono essere attribuiti con una certa sicurezza a Michele Primon (1641 ca. – 1711) e alla sua bottega (si veda per approfondire Ton 2018, pp. 182-190), la decorazione del palazzo proseguì con artisti quali Louis Dorigny (1654-1742) per il salone e Giacomo Parolini (1663-1733) con Antonio Felice Ferrari (1667-1720) per lo scalone.

Rossetti (1776, pp. 335-336) ricordava inoltre “V’è parimenti una stanza vicina tutta dipinta sopra pelli di cuojo dal Bambini. Nude erano le figure di questa stanza, che con sano consiglio furono ricoperte da buon Pittore, affinché non fossero d’inciampo ad alcuno” (si veda Ton 2018, p. 175).

Emanuele Principi

Palazzo Conti, poi Vianelli, poi Soster, poi Prosdocimi-Muraro, poi Accademia Comini, ora Garbo

Palazzo Conti è situato in quella che veniva un tempo detta contrada di San Giovanni della Morte o contrada dei Colombini. La preesistenza edilizia è sempre appartenuta alla famiglia Conti, già attestata a Padova in periodo carrarese (Salici 1605, p. 166), ma i più rilevanti lavori di ricostruzione dei corpi dovettero avvenire all’altezza della seconda metà del Seicento, quando Pio Conti fissa per lunghi anni la sua residenza in una dimora differente, ubicata nella parrocchia di San Daniele.

Una controversia per il pagamento della fornitura di legname necessario per la nuova fabbrica con il mercante Pietro Lazzaroni, risalente al 1679, svela che la struttura edilizia del nuovo palazzo è già in essere a quella data e che i lavori di costruzione stanno procedendo almeno dal 1674 (Padova, Archivio di Stato, Notarile, 6501, c. 3 e sgg.). Proseguiranno fino al 1684, data in cui “Zuanne da Conselve marangon hora lavora nella fabbrica di detto Pio Conti in detta Casa” (Padova, Archivio di Stato, Notarile, 5981, c. 772), e probabilmente oltre.

Durante questi mesi, come ipotizza Vincenzo Mancini (2018, p. 173), in alcuni ambienti del palazzo sono in pieno svolgimento lavori di completamento e rifinitura preliminari o paralleli alla campagna decorativa. L’apparato ornamentale voluto dai proprietari era composto soprattutto di grandi tele incassate nelle pareti, ma in una stanza sopravvive un fregio ad affresco (cfr. Mancini 2011, pp. 12-16).

Oltre alla decorazione a fresco conservata nella sala del Camino, sulla parte bassa delle pareti del salone al primo piano correva uno zoccolo del quale ancora si conserva qualche tratto. Un anonimo frescante vi ha dipinto a monocromo, probabilmente ripetendo un unico, cartone, una coppia affrontata di aquile entro girali vegetali (cfr. Mancini 2001, pp. 47-48).

Emanuele Principi

Palazzo del Bo, ora Università degli Studi di Padova

Fino all’ultimo decennio del XV secolo, l’Università patavina non ebbe una sede unica e stabile, con le sue scuole sparse in diversi luoghi della città (Rossetti 1999, pp. 23-25; Semenzato 1999, p. II). Tra l’attuale via Cesare Battisti e via VIII Febbraio sorgevano tre case, di proprietà della famiglia Maltraversi prima e della famiglia Papafava poi, che nel loro insieme costituivano un insieme fortificato. Tale complesso fu adattato ad albergo, all’insegna del Bue, e identificato come hospitium bovis. Dalla seconda metà del XIV secolo fu inglobato nel palazzo e fu oggetto di lavori di sistemazione nel Cinquecento, secolo in cui assunse il nome di Bo (Semenzato 1999, pp. 13-14, pp. 135-138).

L’atto con il quale venne riconosciuta l’origine del palazzo cinquecentesco come sede dello studio patavino fu la cessione in enfiteusi, nel 1493, dell’antico albergo del Bo da parte di Jacopo Bonzanini a Bernardo Gil da Valenza, rettore dell’Università legista (Puppi 1977, p. 119; Rossetti 1999, pp. 24-25).

Emanuele Principi

Palazzo Montagnana, poi Ferri

La famiglia Ferri andò a risiedere nel palazzo situato a borgo dei Vignali sul finire del Seicento, acquistato da Pellegrino e Giuseppe nel 1693 ad un’asta pubblica del Monte di Pietà. Il palazzo era in precedenza proprietà di Angelo e Gerolamo Montagnana (Gloria 1891, pp. 29-30). Lo stesso Pellegrino Ferri, dopo essersi arricchito grazie alla gestione di una bottega di oreficeria, riorganizzò l’abitazione promuovendo lavori edilizi e decorativi conclusi attorno al 1718.

Morto il conte nel 1772, il figlio Giovanni si unì in matrimonio pochi anni dopo con Leopoldina Starembergh: tra il 1776 e il 1779 si allestì un nuovo appartamento per i coniugi ingaggiando lo stuccatore Antonio Gaggini e il pittore Andrea Urbani (Padova, Archivio Privato Ferri, Spese per la fabbrica nuova dirimpetto al Palazzo Dominicale e per allestimento del matrimonio del Nobil Signore Conte Giovanni Giuseppe Ferri, cc. 36r-36v).

Nel corso del Settecento, i Ferri si interessarono in più occasioni di aggiornare l’aspetto della casa di famiglia, così da accrescere il prestigio della casata. Pellegrino si assicurò le prestazioni di nomi quali Gaspare Diziani e Andrea Urbani, anche se nessuno di questi ricevette pagamenti per l’esecuzione degli affreschi situati al terzo piano. Mancini (2018, p. 208) ipotizza che l’esecuzione dell’apparato decorativo sia da collocare tra il 1706 e il 1718, anni in cui Pellegrino Ferri fece realizzare una nuova ala del palazzo (Padova, Archivio Privato Ferri, Processo di Polizze pagate per la Nuova Fabbrica fatta nella nostra casa de Vignai dall’anno 1706 all’anno 1718, cc. 376-456). In tale occasione, sostiene Mancini, è possibile che il conte abbia commissionato la decorazione del piano superiore ad un artefice diverso rispetto alle maestranze di scuola padovana già attive nella fabbrica, come potrebbero suggerire le anatomie delle figure, declinate secondo un “gusto classicista, e persino accademizzante”.

Emanuele Principi

Palazzo Trotta, poi Arnhold di Dannemburg

Edificato nella seconda metà del Cinquecento nel quartiere Conciapelli, lungo il Naviglio, il palazzetto a due piani, con corte interna e giardino, venne abbattuto nel 1961 per fare posto ad un fabbricato moderno (Bresciani Alvarez 1999, pp. 538-539). Non è nota attualmente l’identità del primo proprietario, mentre Giovanni Battista Trotta giunse ad abitare nel palazzo tra terzo e quarto decennio del Settecento, dando avvio anche ai lavori di sistemazione interna che portarono alla realizzazione di una stanza interamente ricoperta di stucchi, e probabilmente anche di un salone abbellito da affreschi.

Prima dell’abbattimento si procedette allo stacco di alcuni elementi ornamentali: il rivestimento in stucco di una sala è oggi riallestito in un ambiente nell’abbazia di Praglia e brani molto deperiti dell’incorniciatura ad affresco di un portale, una volta indemaniati, sono stati riposti in deposito presso la Soprintendenza (ma attualmente esposti negli spazi dell’Archivio di Stato di Padova).

Secondo l’ipotesi di Vincenzo Mancini (2018, p. 210), l’occasione di promuovere la riqualificazione ornamentale del palazzo fu offerta dalla richiesta che Giovanni Battista fece nel 1732 per essere aggregato al consiglio cittadino, domanda accolta l’anno seguente. Sulla base della documentazione raccolta dallo studioso, pare ragionevole circoscrivere il momento dell’intervento decorativo nel palazzo agli anni attorno alla metà del quarto decennio.

Emanuele Principi

Biblioteca Carmeli

Nel 1753 l’architetto veneziano Andrea Camerata cominciò a erigere la biblioteca collegata al complesso di san Francesco Grande a Padova. Promotore dell’iniziativa fu padre Michelangelo Carmeli, frate minore che occupava, a partire dal 1744, la cattedra in Schola linguae graecae caeteraumque orientalium. In origine il complesso avrebbe dovuto comprendere anche una cappella privata e le stanze del Carmeli stesso, ma l’obiettivo finale fu sin dal principio quello di dare una destinazione pubblica alla raccolta libraria, obiettivo che venne in effetti raggiunto nel 1762, quando la biblioteca (constante di 22.ooo volumi, per l’inventario dei quali si rimanda a Giordan, 2010, p. 24) venne posta sotto la protezione dell’Università grazie ai Riformatori dello Studio di Padova.

Fanzago (1799, p. 34, riportato da Ton 2018, p. 232) descrive accuratamente l’avvio dell’impresa, ricordando inoltre gli artefici del lavoro di intaglio della libreria (fra Andrea dalla Volta di Mantova, fra Bernardo di Brescia e fra Antonio di San Bruson di Padova). A conclusione dell’impresa, sul timpano della porta di accesso venne posta l’iscrizione “BIBLIOTHECA / AD MAIOREM DEI GLORIAM”.

La grande decorazione ad affresco che occupa internamente la volta dell’edificio è stata realizzata dal pittore di origine francese Giuseppe Le Grù in collaborazione con il quadraturista lombardo Innocenzo Ceppi.

Emanuele Principi

Palazzo Selvatico, poi Buzzacarini, ora sede della Biblioteca del Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Padova

I documenti d’archivio testimoniano che l’edificio, in possesso della famiglia Selvatico fin dal 1406, fu rinnovato durante il primo ventennio del Seicento (Bresciani Alvarez 1977, pp. 167-168; Id. 1999a, pp. 522-523): i lavori furono portati a termine nel 1623 mentre la facciata venne completata sei anni più tardi.

Nel tardo Seicento vennero costruite, a ridosso del giardino, le scuderie e la palazzina, quest’ultima decorata al tramonto del XVIII secolo. In alcune sale sono visibili stucchi e specchiere tardo settecentesche, verosimilmente provenienti dalla palazzina e trasportati al piano nobile dell’edificio principale (Tiozzo 1972, p. 46; Bresciani Alvarez 1977, p. 168): lo stuccatore potrebbe essere identificabile con Giambattista Bianchi (cfr. Tosato 2018, p. 352).

La campagna decorativa fu probabilmente realizzata in occasione del matrimonio tra il conte Benedetto II Pietro Alvise Selvatico e la contessa Euride Manfredi di Ferrara, celebrato nel 1693 (Alberi genealogici, XIX secolo).

Emanuele Principi