Palazzo Sambonifacio, poi Polcenigo, poi Ardit, poi Sambonifacio, poi Sartori

Ubicato in “contrà S. Agata e S. Cecilia”, il complesso dei Sambonifacio venne più volte rimaneggiato nei secoli dai diversi proprietari. La famiglia acquistò l’aggregato di immobili preesistente nel 1543, promuovendo un intervento di riassetto e trasformazione edilizia proseguito fino al secolo successivo con la riorganizzazione della corte interna.

Su progetto del perito Tommaso Sforzan venne costruito nel 1669 il grande scalone di raccordo col piano nobile (Ulandi 1998, pp. 23-27), mentre nel 1795 il conte Malrugolato quondam Ercole promuoveva il rinnovamento del complesso sull’attuale via Barbarigo su progetto dell’architetto Antonio da Noale (Gennari, Notizie, 1739-1800, ed. 1982-1984, II, 1984, pp. 820). Quest’ultimo significativo intervento vide l’inserimento della nuova facciata verso la corte e la costruzione del giardino pensile (Ulandi 1998, p. 27).

La decorazione degli interni, in gran parte risalente alla seconda metà del XVIII secolo, è legata alla committenza di Ercole Sambonifacio, ed ha un evidente intento di glorificazione del casato.

Emanuele Principi

Palazzo Abriani

Il palazzo, eretto nel Quattrocento, venne restaurato e modificato nel corso del XVII secolo da Vincenzo Dotto, e soggetto ancora ad altri rimaneggiamenti nel corso del Settecento e dell’Ottocento. L’intervento di Dotto, più precisamente, può essere assegnato al 1623, grazie all’iscrizione dipinta presente nella sala al piano nobile, che ricorda: ‹‹MAJORUM AEDES VETUSTATE LABENTES AD NOBILIOREM FORMAM RESTITUIT LAURENTIUS ABRIANUS HECTORIS FILIUS ANNO EFFRACTO CAPITIS SERPENTIS MDCXXIII››.

Andrea Chiocca

 

Palazzo del Capitanio

È probabilmente sotto la reggenza del podestà Antonio Priuli (1598/1599–1600) che prende avvio il vasto programma di lavori edilizi, comprendente il nuovo palazzo del Capitaniato, sulle preesistenze della parte di levante del vecchio complesso della Reggia Carrarese. Tra il 1598 e il 1599 l’assetto architettonico di una parte della nuova residenza si può dire messo a punto. Nel 1606-1607 i lavori per il palazzo proseguono con la realizzazione della Sala delle Udienze e della Nuova Loggia, alla quale si accede tramite lo scalone progettato da Vincenzo Dotto (1607-1612).

Alcuni anni più tardi nel 1626, durante il mandato di Vincenzo Gussoni, vengono promossi interventi nella zona dell’entrata con un occhio di riguardo alla sala d’accesso, con la commissione di una campagna pittorica. Di queste pitture ordinate da Gussoni nulla oggi si è salvato.

Andrea Chiocca

Palazzo Dondi dall’Orologio, via Dondi

L’edificio di origine medioevale, attribuito ad Antonio Maggi, presenta scolpito, sui capitelli quattrocenteschi delle colonne del portico a livello strada, lo stemma della famiglia Dondi dall’Orologio e, sulla facciata, è decorato, al piano nobile, da una pentafora del XVI secolo. Modifiche furono apportate al suo interno da Galeazzo Dondi dall’Orologio, come si evince dal suo testamento del 1643 (Padova, Biblioteca Civica, Archivio Dondi Orologio, Testamenti delli N.N.H.H. Galeazzo, Francesco e Girolamo Dondi Horologgio, tomo 306, c. 209) e, successivamente, durante il XVIII secolo con la decorazione a stucco e la costruzione della cappella gentilizia.

Andrea Chiocca

Palazzo Frigimelica, poi Selvatico, poi Montesi, poi Estense

Fu un membro stesso della famiglia, l’architetto Giacomo Frigimelica, a dirigere l’imponente ristrutturazione che vide il palazzo trasformarsi fra il 1677 e il 1683. Nel secolo successivo, ad opera di Antonio Frigimelica, si colloca il restauro e l’ampliamento dell’edificio. Nel 1786 poi, per mancanza di discendenti diretti alla morte di Antonio, il palazzo passò interamente nelle mani della famiglia Selvatico.

Le due figure di spicco che compaiono nei numerosi documenti pervenutici in merito alla decorazione del palazzo nel XVIII secolo, tra una nutrita serie di artigiani e artisti (per un approfondito elenco dei quali si rimanda a Ton 2018, p. 317), sono il pittore veronese Antonio Buttafogo, occupatosi in particolar modo degli affreschi del Salone, e l’ornatista e quadraturista vicentino Paolo Guidolini. Un ruolo significativo ma oggi difficilmente valutabile è quello dell’ornatista Antonio Tentori, pagato nel maggio 1781 per aver dipinto due camere.

Oltre al ricco apparato pittorico, è meritevole di menzione la decorazione a stucco che interessò in particolar modo gli ambienti al piano terra (nel dicembre del 1780 si ricordano pagamenti a Giovanni battista Bianchi stuccatore e ad Antonio Solari nel febbraio successivo, Ivi, p. 318).

Emanuele Principi

Palazzo Massimo, ora Collegio Universitario Aspiranti e Medici Missionari

L’edificio ha mantenuto ancor oggi l’originaria facciata seicentesca: si presenta con un portico a bugne sormontato da un doppio ordine di finestre. Oltrepassato il portale principale che conduce al cortile interno, la prima porta a sinistra immette allo scalone.

I lavori di ammodernamento dell’immobile, inclusa la decorazione degli interni, dovettero avvenire in occasione delle nozze tra il nobile Innocenzo Massimo ed Elena Raspi (avvenute nel 1786). Il programma iconografico, svolto riprendendo modelli compositivi cari ad analoghi esempi tardo settecenteschi (cfr. Tosato 2018, p. 310), rispecchia l’intento autocelebrativo del casato, con l’associazione dell’allegoria al tema mitologico che va a fondersi inscindibilmente con il sovrabbondante utilizzo dell’ornamento tipico della fine del secolo.

Emanuele Principi

Palazzo Maldura

Il palazzo venne realizzato dall’architetto padovano Giambattista Novello per il giurista Andrea Maria Maldura, figlio di un commerciante, Federico, arricchitosi enormemente dopo essere giunto in città “con pochissimi quattrini” (Descalzi, Le Famiglie, XVIII secolo, c.205v): l’imponente fabbrica aveva dunque il compito di tradurre il peso economico e sociale raggiunto dalla famiglia, inserendosi in modo forte nel tessuto urbanistico della città (Olivato 1977, pp. 205-207).

L’iscrizione sulla sommità della facciata lascia intuire che, nonostante i lavori siano probabilmente proseguiti per qualche tempo, le strutture principali dell’edificio dovettero essere concluse entro il 1769.

La famiglia Emo Capodilista entrò in possesso del palazzo probabilmente in seguito al matrimonio tra Lucia Maldura (nipote di Andrea Maria) e Girolamo Emo Capodilista, celebrato nel 1823 (cfr. Munaron 1890, p. 85). Dal 1927 al 1961 l’edificio ospitò il Comando della Legione dei Carabinieri, rimanendo comunque di proprietà dei conti. Inaccessibile alla fine degli anni sessanta del Novecento, il palazzo è dal 1974 circa sede dell’Università degli Studi di Padova.

Emanuele Principi

Palazzo Dondi dall’Orologio

Il nucleo fondamentale è sempre stato considerato di epoca cinquecentesca (Gallimberti 1968, p. 361), ma sono state supposte modifiche consistenti nel corso del XVIII secolo (Bresciani Alvarez 1977, p. 179) in particolare per i tre finestroni centrali e il grande orologio sovrastante il cortile, supposizioni avvalorate dalle indicazioni di Gennari (al quale si rimanda in Notizie, 1739-1800, ed. 1982-1984, I, 1982, p. 345).

Il ramo della famiglia Dondi dall’Orologio installatosi nell’edificio è quello così detto di “Borgo Schiavin”, antico nome dell’area dell’attuale via Carlo Leoni. Rossetti (1780, p. 340) attribuisce l’architettura del palazzo al padovano Vincenzo Dotto.

Emanuele Principi

Palazzo Fenaroli Avogadro, ora Bettoni Cazzago

Tra il XV e il XVIII secolo il palazzo Fenaroli Avogadro, oggi Bettoni Cazzago, vide l’avvicendarsi di diversi proprietari afferenti a nuclei di nobili famiglie bresciane e, come conseguenza dei numerosi passaggi ereditari, subì cospicue trasformazioni architettoniche, che determinano l’attuale aspetto articolato e composito della struttura. La facciata del palazzo principale mantiene i caratteri maestosi e solenni della ristrutturazione settecentesca, come il massiccio cornicione in stucco e l’andamento ritmico delle ampie finestre che scandiscono i tre livelli della struttura. Dal portico si accede allo scalone settecentesco a tre rampe con balaustra marmorea che conduce al piano nobile, la cui costruzione fu promossa dalla famiglia Fenaroli, proprietaria dell’immobile dalla fine del Seicento (Lechi 1974, p. 171).
Accanto alla struttura più antica si staglia il palazzetto ristrutturato nel corso dell’Ottocento dalla famiglia Erizzo, suddiviso su tre livelli e ricco di ornamenti decorativi architettonici, che rendono imponente la facciata principale. Una superficie lavorata a bugnato liscio caratterizza la prima infilata di finestre al pianterreno, realizzate con cornice lineare e un davanzale leggermente sporgente, sorretto da due mensole con una decorazione a foglie. Le due coppie di aperture laterali sono scandite dal portale centrale, racchiuso tra due lesene che presentano, a metà del fusto, un ornamento a bottone e che sorreggono le mensole a ricciolo, a sostegno del balcone sovrastante. Il secondo livello presenta due finestre ampie per lato, separate da una grande portafinestra centrale con timpano triangolare, corrispondente alla posizione della balconata. Al primo piano, le finestre poggiano su una cornice lineare continua, sottile e aggettante, e sono caratterizzate da due mensole a ricciolo per ciascuna, mentre, nel piano superiore, presentano una trabeazione all’antica che sovrasta la cornice e su cui poggia una decorazione fitomorfa centrale affiancata da due cavalli alati giacenti. La grande portafinestra riprende, sopra il timpano, la stessa decorazione con animali mitologici ma con una variazione di soggetto: si tratta infatti di un’anfora con elementi vegetali al centro e di due draghi laterali. L’ultimo piano, delimitato da un marcapiano massiccio, chiude la facciata con un’infilata di finestre che ripropongono la medesima foggia di quelle del primo livello.
Nonostante la presenza di due nuclei adiacenti realizzati a distanza di circa un secolo, l’accesso al palazzo è consentito dal portale dell’edificio settecentesco. Il portale, semplice e lineare, presenta un arco a tutto sesto che culmina in una chiave di volta con un ricciolo aggettante e immette in un cortile interno, creando una sorta di cannocchiale scenografico che mette in risalto la fontana situata al centro del porticato. La fontana del Nettuno, attribuita alla bottega bresciana dei Carra, diviene dunque il punto focale del cortile, delimitato da un porticato che, da una parte, fu riadattato secondo forme architettoniche ottocentesche e, dall’altra, mantiene invece le colonne toscane settecentesche sormontate da una serie di finestre e una slanciata e raffinata baltresca.
L’ampio scalone, ornato da due opere su tela di Andrea Celesti, provenienti villa Bettoni Cazzago situata a Bogliaco sul Garda, immette al piano nobile, che ospita quattro sale decorate nel corso del Settecento e un grande salone di rappresentanza.
Il pianerottolo del piano nobile permette di accedere alla zona occidentale dell’edificio corrispondente per dimensione al porticato sottostante, dove sono situate l’alcova e una serie di stanze secondarie, oggi adibite alla funzione di studio privato; la zona orientale della struttura è invece composta da un grande salone di rappresentanza e da quattro sale decorate di più modeste dimensioni; la sala verde e la sala da pranzo, riadattate nel corso del Settecento, sono adiacenti alla sala di Napoleone e alla sala dei Cesari, ristrutturate in età napoleonica e decorate con due tele da soffitto di mano di Sebastiano Ricci.
Il secondo piano presenta un’infilata di ambienti secondari, tra cui spiccano la biblioteca e il salottino con il soffitto ligneo dipinto, le cui decorazioni sono riconducibili all’epoca tardobarocca.

Giulia Adami

Palazzo Maggi, poi Cigola, ora Fenaroli

Le due facciate dell’edificio rivelano i differenti momenti di costruzione del palazzo, iniziato nel Cinquecento con il fronte di via Cattaneo e ripreso nel Settecento su piazza Tebaldo Brusato, che ne rispetta le caratteristiche rendendo uniforme lo stile architettonico grazie all’utilizzo di moduli cinquecenteschi. L’accesso al palazzo da via Cattaneo presenta un portale oggi decentrato, caratterizzato dalla presenza di due imponenti telamoni con barba e turbante privi di braccia, sulla cui testa è posizionato un triglifo che regge un balcone marmoreo traforato, decorato con sirene, teste di medusa, grifoni e uno scudo. L’impostazione classicheggiante della facciata fa supporre secondo Lechi la mano del più celebre architetto cinquecentesco bresciano Luigi Beretta, ipotizzando però, soprattutto in riferimento all’impostazione del portale, il disegno di un architetto ferrarese, anche in relazione ai costanti rapporti della famiglia Cigola con la città estense (Lechi, 1974, p. 57). La sezione settecentesca del palazzo riprende totalmente i modelli adottati nella parte più antica ad eccezione del portale d’ingresso situato su piazza Tebaldo Brusato, dove le lesene che caratterizzano la facciata vengono sormontate da imponenti mensole che reggono la lunga balconata. Sulla sommità della facciata, esattamente in corrispondenza del portale, una struttura architravata dà movimento al profilo lineare del palazzo.

Da via Cattaneo si entra in un elegante portico databile fra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo dal quale si accede allo scalone del XVI secolo, che conduce alla sezione cinquecentesca dell’edificio con soffitti originali. Di questa fanno parte la galleria, una loggia chiusa con soffitto ligneo diviso in riquadri e intagliato con rosoni e cornici e un salone con soffitto ligneo a cassettoni riccamente decorato.

Nadia Giori