Sala papier peint

La sala si colloca nell’enfilade di ambienti che si aprono al piano nobile. Tra questi spicca la saletta con pareti tappezzate con papier peint a grisaille della manifattura francese Dufour&Leroy, che ebbe grande successo dal momento in cui Joseph Dufour – fondatore dell’impresa – aprì una nuova sede a Parigi, nel 1808. Le scene del papier peint raffigurano Les Vues d’Italie, eseguite tra il 1820 e il 1824 con la tecnica del torchio tipografico, e fanno parte di una serie di tableaux paysages che ottenne ampio consenso e diffusione nel corso degli anni venti dell’Ottocento (Signorini 2000, p. 100; Jacqué 2009-2010, p. 79). Le pareti della stanza sono ornate da una raffinata veduta d’insieme del golfo di Napoli e di Amalfi: gli elementi reali si fondono con antiche rovine e scene bucoliche, in cui si rintraccia anche un gusto esotico nei personaggi inseriti nell’affollato porto. La presenza di prodotti della manifattura Dufour&Leroy, le cui opere si diffondono in Italia ragionevolmente durante il periodo napoleonico, è attestata anche in altri edifici della Penisola, come il Museo di Palazzo d’Arco a Mantova (Signorini 2000, p. 100) e Villa Gradenigo a Treviso (Felle 2014, pp. 129-136). Anche i sovrapporta sono da attribuire alla manifattura Dufour&Leroy con generiche scene bucoliche. Il soffitto, dipinto con un motivo a pietre preziose, è stato eseguito in un secondo momento: non è da escludere che l’intervento sia da ricollegare alla presenza di Vantini nel 1832.

Maddalena Oldrizzi

Salone d’onore

Le pareti del salone sono dominate da un porticato a trompe l’oeil costituito da pilastri decorati, tra cui sono dipinte lunghe e voluminose tende bianche e azzurre, ornate da festoni floreali, che svelano vedute paesaggistiche caratterizzate dalla presenza di figure femminili danzanti. Al centro del soffitto si colloca il dipinto raffigurante Venere e Adone, in cui le divinità sono accompagnati dalle Tre Grazie, da Cupido e da alcuni putti, posti in secondo piano.

Si può ipotizzare che l’episodio pittorico sia stato eseguito dalla stessa mano responsabile delle figure sulle pareti, appartenente ad un artista che ha risentito delle influenze neoclassiche che hanno investito Brescia, e quasi certamente ha potuto osservare le opere di Manfredini e Teosa, senza raggiungere però risultati del medesimo livello. Il trompe l’oeil e, più in generale, l’impostazione scenografica, non paiono infatti eseguiti da un artista di prim’ordine; le figure risultano tratteggiate sommariamente, sia da un punto di vista fisionomico, sia nel rapporto con lo spazio circostante.

Maddalena Oldrizzi

Sala dell’Astronomia e delle Virtù Morali

Tra le sale del piano terra spicca un ambiente dall’originale apparato iconografico legato al Trionfo dell’Astronomia e delle Virtù Morali. Le pareti sono scandite da specchiature con mascheroni ed elementi floreali, la cui struttura divide lo spazio delle pareti in tre sezioni verticali, in cui si inserisce una serie di cornici lobate ospitanti scene mitologiche legate alle virtù umane. Tra queste si individuano: Ercole al Bivio; Minerva e l’olivo (simbolo di saggezza); le tre Parche, Mercurio che annuncia a Giunone la nascita di Ercole; Ercole e Onfale.

Il soffitto si apre con una fascia decorativa costituita da voluminosi girali, tra i quali sono collocati putti alati che reggono strumenti musicali; il fregio si interrompe solo agli angoli delle pareti, dove si innestano quattro tondi a grisaille raffiguranti maestri della filosofia e delle scienze antiche e moderne: Platone, Demostene, Gaileo e Locke. Proseguendo verso il centro del soffitto, dapprima si inseriscono scene a grisaille legate alle virtù morali (Vergine e l’unicorno, Mercurio dona la lira ad Apollo, Minerva anima la statua scolpita da Prometeo), per poi continuare con alcuni episodi delle fatiche di Ercole (Ercole e l’Idra; Ercole e il Leone di Nemea; Ercole beffa Atlante; Ercole e Cerbero; Ercole e le colonne): queste scene, dipinte all’interno di cornici lobate, sono attorniate da una ricca decorazione a grisaille costituita da volute floreali. Al centro del soffitto si staglia l’imponente figura dell’Astronomia, riconoscibile grazie alla sfera armillare su cui poggia, che protegge idealmente le allegorie della Pace e della Giustizia.

Diverse scene della decorazione sono andate completamente perdute a causa del precario stato di conservazione della sala, che non permette di ipotizzare alcuna attribuzione.

Maddalena Oldrizzi

Vestibolo

A nord della sala delle rovine è ubicato un vestibolo di passaggio. Le pareti sono decorate da una serie di finestre dipinte e numerosi elementi ornamentali: il finto basamento marmoreo, le sovrapporte a trompe l’oeil raffiguranti vasi di fiori, e vari festoni floreali. Il lato breve è caratterizzato da un illusionistico paesaggio di campagna che si apre al di là di due finestroni a tutto sesto a trompe l’oeil. Il soffitto è costituito da un’originale apertura poligonale con un motivo a lacunari a croce entro cui sono inseriti rosoni e anfore antiche. Lo spazio di questo ambiente viene sapientemente scandito dagli elementi decorativi, che richiamano quelli già incontrati nello scalone d’onore.

Sala 2 di Apollo

La seconda sala presenta un soffitto inscritto in una cornice rettangolare con una decorazione in finto stucco alla greca in cui si riconosce la mano Giuseppe Teosa, anche se fortemente rimaneggiata in occasione del restauro del 1827. Gli angoli smussati della cornice sono decorati con quattro conchiglie che inquadrano l’affresco che ritrae Apollo e le Muse in una iconografia piuttosto comune e conosciuta, con il dio che suona la lira circondato dalle nove muse, caratterizzate dai noti attributi ripiani; Clio, la musa più illustre che rappresenta la fama e la storia, viene raffigurata accanto ad Apollo con la sottile tromba e le pergamene. Sullo sfondo della scena si staglia Pegaso che sta per spiccare il volo dalla nube rosata. Nell’alzato della volta della sala si sviluppano riquadri raffiguranti elementi fitomorfi e personificazioni allegoriche legate alla musica, su uno sfondo azzurro anch’esso caratterizzato da interventi successivi, intervallate da cariatidi che sostengono gli angoli della cornice centrale. Esse poggiano su una cornice lineare con una decorazione a ovoli che sovrasta un fregio con putti, animali mitologici e girali vegetali. Sulle pareti laterali vengono ripresi i riquadri con fondo azzurro soprastanti, intervallati da pannelli raffiguranti paesaggi bucolici e arcadici. Come sovrapporta sono state inserite due raffinate tele raffiguranti Anfione che edifica le mura di Tebe con il suono della cetra e Orfeo che guida Euridice fuori dall’Ade, anch’esse incorniciate da una decorazione alla greca in finto stucco e frutto di un felice intervento di Teosa e che, a differenza del soffitto, mostrano ancora la raffinatezza della stesura pittorica originaria e degli accostamenti di colore ricercati dall’artista.

Giulia Adami

Sala 1 di Minerva

La prima sala presenta una volta dipinta con l’imponente figura di Minerva, adagiata su una nuvola rosata e inscritta in un oculo centrale mentre tre putti la circondano, volteggiando nel cielo; il Lechi riconosce nella pittura la mano di Manfredini (Lechi 1974, p. 33) anche se il confronto con le opere dell’artista nelle altre sale del palazzo porterebbe a sconfessare tale attribuzione e a ritenere il soffitto una rielaborazione di una pittura della seconda metà del Settecento, il cui odierno aspetto sarebbe dunque da ascrivere ai cospicui restauri del secolo successivo. La dea è riconoscibile grazie agli attributi che comunemente la contraddistinguono, come l’armatura e lo scudo con la testa di medusa e una piccola civetta che viene trasportata dall’amorino più in basso. L’oculo è incorniciato da un nastro dorato, seguito da una decorazione vegetale e infine da un anello di finto marmo scolpito, probabilmente aggiunto in un momento successivo alla realizzazione della pittura centrale. Tutto intorno si snodano i festoni di fiori, che riprendono le decorazioni laterali della sala, in cui si scorgono due medaglioni all’antica contrapposti, raffiguranti le effigi di figure femminili, e incorniciati da esili ornamenti vegetali che poggiano sulla cornice in finto stucco. Sotto di essa si snoda una decorazione dipinta che mostra una piccola tenda a pannelli ornata da elementi all’antica, medaglioni e vasi marmorei, intervallati da festoni floreali. Le pareti della sala, scandite da una lineare quadratura a finto stucco con una decorazione alla greca in corrispondenza della zoccolatura, presentano due riquadri con vedute paesaggistiche che fungono da sovrapporta, riferibili alla mano di Manfredini grazie alla resa pittorica delle lumeggiature particolarmente materica e corposa e alla solida fisionomia corporea dei personaggi.

Giulia Adami

Sala 2 Saletta neoclassica

Ad est della sala delle rovine si apre una piccola sala di gusto neoclassico. Le pareti sono state coperte da carta da parati e non sono quindi leggibili nel loro apparato originale, mentre il soffitto è ornato da un’imponente cornice a grisaille caratterizzata da voluminosi elementi a candelabre, alternati a scudi circondati da draghi fitomorfi, al cui interno sembrerebbero essere rappresentati dei putti. Sui lati brevi sono inseriti gli stemmi delle famiglie Fenaroli e Caprioli circondati da amorini e festoni floreali, a sottolineare l’unione delle due casate avvenuta con il matrimonio tra Camilla Fenaroli e il conte Giulio Caprioli all’inizio del XIX secolo (Lechi 1977, p. 228). Al centro del soffitto una cornice dorata poligonale inquadra una scena allegorica: il precario stato di conservazione non ne permette purtroppo la lettura completa.

 

Maddalena Oldrizzi

Sala di Apollo

La sala conserva il partimento di pittura murale staccata che raffigura Apollo che incorona la Pittura, attribuibile alla mano di Giuseppe Manfredini e databile al 1797, grazie alla firma e alla datazione riportate sul cartiglio ai piedi dell’allegoria femminile centrale. L’impianto della scena corrisponde pienamente alla ricerca antiquaria di Manfredini di fine secolo, riscontrata anche nelle sale di palazzo Maggi, in cui le pitture restituiscono il vivo interesse per le antichità dell’artista. La scena contrappone la semplicità di un arioso paesaggio bucolico alla solennità della vicenda in primo piano, in cui Apollo, vestito di un brillante mantello rosso, incorona la personificazione della pittura mentre, a destra, la Scultura, già incoronata d’alloro, è intenta a scolpire nel marmo l’effige del dio. A sdrammatizzare l’aulica incoronazione, si notano tre putti in primo piano che giocano spensierati con gli attributi delle Arti, da una parte i trattati e gli album da disegno abbandonati a terra dalla Pittura e, dall’altra, gli strumenti dello scultore, come i compassi, i martelli e i picchetti, posti su una folta coltre di foglie. Nonostante le velature della pittura siano andate in parte perdute, probabilmente in occasione della rimozione dalla collocazione originale dell’opera, sono ancora evidenti i caratteri tipici della pittura di Manfredini, come le guance rosee dei volti dei personaggi e le posizioni plastiche dei personaggi, immortalati in pose non del tutto naturalistiche.

Giulia Adami

Sala di Flora

La sala mostra una quadratura pittorica che interessa lo zoccolo delle pareti, ornate con specchiature marmoree e decorazioni a cartouche sui toni dell’azzurro, e una più articolata struttura dipinta sul soffitto. L’architettura illusionistica intreccia le trabeazioni mistilinee ai decori a voluta marmorei e metallici, mentre ai quattro angoli del soffitto si trovano vasi dorati ricolmi di composizioni floreali, separati da stemmi che raffigurano piccoli busti di personaggi all’antica e raffigurazioni femminili allegoriche a monocromo. Al centro, inscritta in una cornice curvilinea a finto stucco con decorazioni vegetali, una figura femminile accompagnata da puttini in cui si riconosce, grazie agli attributi vegetali, la dea Flora. La donna è abbigliata con una tonaca all’antica che le lascia scoperto il seno e una corona floreale che riprende la grande composizione posta all’interno di una conchiglia dorata, trasportata dall’amorino in movimento alla sua destra. Sulla sinistra invece è presente un secondo amorino che ostenta un arco dorato mentre, con l’altra mano, argina il rigonfiamento del drappo alimentato dal vento. Per motivi stilistici, in particolare la forma allungata e carnosa dei volti, il roseo e liscio incarnato dei personaggi, i morbidi panneggi gonfiati dal vento e la resa dettagliata dei fiori innalzati dal putto sulla destra, la pittura viene attribuita al pittore Francesco Savanni (Marcheva 2018, p. 13). La composizione mostra una forte aderenza stilistica di Savanni alle realizzazioni del suo maestro bolognese, Francesco Monti.

Giulia Adami

Sala delle Rovine

A nord del salone d’onore si accede alla sala delle rovine, un particolare ambiente interamente decorato da una mélange di vestigia dell’antichità. Decorata da Manfredini nel 1804 (Tanzi 1985, p. 87), la sala si inserisce nel filone pittorico del revival archeologico, che evoca l’interesse della committenza in ambito antiquario. La decorazione si innesta alle pareti e continua nel soffitto, creando un paesaggio continuo costituito da motivi archeologici: templi greci, statue e busti romani, cippi, vasi antichi. A questi si aggiungono alcuni particolari suggestivi: delle rovine egizie, con una stele geroglifica posta idealmente a cornice di una porta di passaggio, e rovine gotiche, che compaiono per la prima volta a Brescia (Tanzi 1985, p. 87). L’edificio fatiscente è utilizzato da Manfredini come elemento pittoresco, inteso come pretesto di un’atmosfera di fantasia e potente suggestione (Negri 1965, p. 27).

Nel 1970, l’ambiente è stato restaurato da Livio Pasotti, il cui intervento ha pesantemente alterato la qualità pittorica originale.

 

Maddalena Oldrizzi