Palazzo Guanieri, ora Gervasoni
L’edificio venne edificato da un architetto tutt’ora ignoto nel corso del XVI secolo, per volere della famiglia Montini. Tuttavia, se Fausto Lechi fa risalire l’edificazione del palazzo al 1570-1580 (Lechi 1974, p.230), momento in cui i fratelli Annibale e Gaspare Montini insieme alle rispettive famiglie si trasferiscono sotto un unico tetto, Antonio Rapaggi propone di anticipare di qualche decennio la costruzione del palazzo e di considerare Gio. Battista Montini, padre di Annibale e Gaspare, il committente del progetto (Rapaggi 2014, p.24).
L’edificio presenta una caratteristica pianta a U che racchiude, entro tre distinti corpi di fabbrica, una corte interna, la quale ospita oggi la scultura “Gli Archeologi” di Giorgio De Chirico. La facciata esterna del corpo principale, che si affaccia su via Fratelli Cairoli, è composta da tre piani scanditi in maniera simmetrica. Nel primo e nel secondo si trovano undici finestre con cornici marmoree, mentre al piano terreno le nove aperture si alternano, a gruppi di tre,ai due portali. Questi ultimi sono costituiti da un arco a tutto sesto sormontato da un’elegante trabeazione che si differenzia, tra un portone e l’altro, per la scelta cromatica operata tramite l’utilizzo di due pietre differenti: l’ingresso di sinistra, in pietra bianca, è decorato da due mezze sfere scure, mentre quello di destra è in pietra nera con le mezze sfere bianche. Questo motivo si può ritrovare nelle grandi fabbriche rinascimentali bresciane, quali l’accesso allo scalone del palazzo della Loggia ed il protiro di Santa Maria dei Miracoli, e nei coevi palazzi Martinengo di Padernello e Calini ai Fiumi.
Il secondo piano è un’aggiunta settecentesca realizzata durante i lavori di ampliamento e ammodernamento operati dai nuovi proprietari, i fratelli Ettore ed Ercole Oldofredi, dopo aver acquistato il palazzo dalla famiglia Montini nei primi decenni del XVIII secolo. Oltre alla sopraelevazione del secondo piano, i lavori compresero la trasformazione dell’antica loggia che si affacciava sul cortile in una luminosa galleria e l’inserimento di due scaloni alle estremità del portico preesistente.
In epoca napoleonica il palazzo cambiò nuovamente proprietà, passando nelle mani del banchiere e mercante Antonio Bellotti che,in occasione del matrimonio tra il figlio Bernardo e la contessa Amalia Balucanti, intraprese una serie di lavori di rinnovamento del palazzo, diretti forse da Rodolfo Vantini, come sembrerebbero suggerire le mensole del prospetto interno del palazzo e le chiavi di volta a forma di ricciolo, segno tipico del lessico vantiniano. Sicuro è invece il coinvolgimento dell’architetto bresciano negli anni tra il 1853 e il1856, quando Bernardo Bellotti gli affidò i lavori che porteranno alla realizzazione di uno dei più sorprendenti e meglio conservati esempi di arredo di età romantica in Italia.
Nel 2000 il palazzo venne acquistato da Lino Gervasoni, dopo che era passato per linea ereditaria alla famiglia Guaineri, il quale affidò i lavori di restauro allo studio di architettura Giovanni Torelli-Roberto Frassoni (Rapaggi 2014, p 36).
Una prima sala, decorata nei primi anni del XIX secolo e che svolge oggi la funzione di cappella, si trova al pian terreno, non distante dallo Scalone a mattina che, riccamente dipinto nella prima metà del Settecento, rappresenta la via d’accesso privilegiata gli ambienti nobili del palazzo. Tramite la scalinata si giunge alla grande Galleria a T del palazzo, ove nel primo Ottocento lavorarono Giuseppe Manfredini e Giuseppe Dragoni, che permette l’accesso a tre sale decorate nel Settecento: la prima (Sala 1) con esuberanti motivi vegetali, la seconda (Sala 2) con un Trionfo di Roma e la terza (Sala 3) con quattro tele raffiguranti le Quattro stagioni incassate nel soffitto ligneo. Adiacente a queste tre ambienti si trova lo Scalone a sera, che venne ornato nel XIX secolo e svolgeva funzioni di servizio. Infine, poste all’estremità del corpo ovest del palazzo, si trovano due ambienti ove lavorò Giuseppe Teosa: il primo (Sala 4) vede raffigurato nel soffitto il tema di Apollo e Artemide, mentre il secondo (Sala 5) una raffigurazione delle Tre Grazie libera da cornici o quadrature.
Edoardo Lo Cicero
Fausto Lechi, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, Vol. 3: Il Cinquecento nella città, Edizioni di Storia Bresciana, 1974, pp. 224-231;
Valeria Benacchio, Antonio Rapaggi, Palazzo Bellotti-Guaineri, inItinerario di Brescia neoclassica, 1797-1859, catalogo della mostra “Il mito del decoro privato, architettura neoclassica a Brescia, 1797-1859”, a cura di Francesco Amendolagine, Centro Di, Firenze 1979, p. 124;
Marco Tanzi, Problemi di neoclassicismo bresciano: Giuseppe Teosa tra committenza religiosa e privata, in “Itinerari”, n. 3, 1984, pp. 87-104;
Bernardo Falconi, Brescia. L’estro della decorazione neoclassica e romantica (1780-1862), in Fernando Mazzocca (a cura di), Ottocento lombardo. Arti e decorazione, Skira, Milano 2006, pp. 199, 202;
Antonio Rapaggi, Rodolfo Vantini (1792-1856), Grafo, Brescia 2011, pp. 367-379;
Antonio Rapaggi, Palazzo Gervasoni. Un elegante scrigno bresciano, Grafo, dicembre 2014;
Edoardo Lo Cicero, Palazzo Gervasoni, già Guaineri, in Stefania Cretella (a cura di), Miti e altre storie. La grande decorazione a Brescia. 1680-1830, Grafo, Brescia 2020, pp. 171-172.