Sala dell’Accademia degli Erranti, ora Ridotto del Teatro Grande di Brescia

L’attuale Ridotto del Teatro Grande è stato costruito e affrescato per volontà dei membri della storica Accademia degli Erranti di Brescia, i quali desideravano dotare la propria sede di un locale di rappresentanza, destinato prevalentemente alle riunioni accademiche e agli incontri ufficiali. I lavori di edificazione della sala sono stati realizzati tra il 1760 e il 1765 sotto la direzione dell’architetto Antonio Marchetti, il quale, ispirandosi a precedenti disegni probabilmente di mano del padre Giovan Battista, è riuscito a progettare un ambiente funzionale alle esigenze della committenza, inserendosi con armonia e intelligenza all’interno dell’edificio preesistente. La realizzazione degli apparati decorativi si è invece svolta tra il 1768 e il 1770 grazie al lascito del conte Silvio Gerolamo Martinengo, che nelle postille aggiunte al suo testamento aveva anche indicato i nomi degli artisti da coinvolgere nell’impresa, scegliendo il figurista Francesco Zugno, allievo di Tiepolo, e il quadraturista Francesco Battaglioli, modenese di origine, ma veneziano di adozione.
La sala è impostata su una pianta rettangolare il cui ingresso principale si trova sul lato corto rivolto a sud e si sviluppa nell’alzato in quattro livelli, dei quali il primo era in parte pensato come un porticato aperto sul salone centrale. Del porticato originario si conservano ancora solo alcuni passaggi, mentre altri sono stati tamponati nel corso di alcuni interventi di restauro e trasformazione della sala susseguitesi nel corso dell’Ottocento. Il secondo ed il terzo ordine presentano invece logge continue che corrono per tutte le pareti minori e fino a metà lunghezza dei lati a mattina e a sera; non potendo proseguire nella costruzione delle gallerie anche nella seconda metà delle pareti maggiori, a causa delle dimensioni irregolari dello spazio a disposizione per la costruzione, l’architetto ha inserito delle logge cieche, con lo scopo di mantenere una certa continuità e uniformità architettonica, evidenziata anche dall’utilizzo dei medesimi parapetti in legno scolpito e dipinto con motivi vegetali in stile roccaille, opera di Giuseppe Bonalda e Domenico Cantoni, in tutti gli affacci dei due livelli. Per modulare l’eccessivo slancio in altezza della sala lunga e stretta, tra il terzo e quarto livello Marchetti ha inserito una volta piana con al centro una grande apertura mistilinea delimitata da una balaustra in legno lavorata da Giordano Zugno.
Nel soffitto intermedio si distribuisce una complessa quadratura, opera di Battaglioli, articolata in una volta ribassata con superficie a cassettoni movimentata da lunette aperte illusionisticamente verso l’esterno (quelle collocate al centro di ciascun lato vedono l’inserimento di un vaso ricolmo di fiori), quattro oculi e quattro medaglioni contenenti figure a monocromo opera di Zugno. I medaglioni del lato meridionale mostrano un cavaliere in armatura che si intrattiene con quattro soldati ed una scena composta da un oratore ammantellato indicante un uomo seduto che regge un vessillo ed un bambino seduto affianco; sul lato opposto invece un medaglione raffigura un sacrificio agli dei con un sacerdote, due figure maschili, un’ancella inginocchiata e un fedele genuflesso in primo piano. Il tema dei medaglioni rimane sostanzialmente oscuro, ma sembra legittimo immaginare che si tratti di un riferimento alla pacificazione che segue un periodo turbolento o di guerra, pace che permette alle attività intellettuali e scientifiche, ovvero quelle promosse dall’accademia degli Erranti, di prosperare.
Il quarto medaglione è invece pressoché completamente nascosto da un gruppo di figure rappresentanti due donne, ovvero l’Accademia, riconoscibile dalla veste bianca, il manto celeste, le melograne e la lima (simboli rispettivamente di collaborazione e di lavoro costante, che permette di affinare i pensieri e raggiungere la perfezione), e la Nobiltà, vestita con un mantello rosso ed un abito damascato, i cui attributi sono la corona e la statuetta dorata. Le altre figure di questo gruppo fungono da sostegno iconografico ai due personaggi principali: i due putti in primo piano reggono infatti una corona d’oro e un serto di rami di rose, simboli di nobiltà, ed il babbuino che regge un frutto, comunemente associato al tema della curiosità. Questo gruppo di figure è dipinto su una sagoma lignea che permette di proiettarne il profilo al di fuori del limite della membratura creata dal soffitto intermedio. Questo espediente scenico riesce a creare una maggiore unità architettonica nell’ambiente e allo stesso tempo produrre una continuità tematica con l’apparato allegorico sviluppato nel soffitto principale, sostenendo che il fiorire delle arti poteva trovare fondamento in un’ Accademia forte e sostenuta dalla nobiltà.
Al di sopra dell’apertura intermedia si trova l’ultimo piano, illuminato da finestre collocate sui lati sud, est e nord; uniche altre fonti di luce della sala sono le vetrate nelle gallerie orientali del primo e secondo piano.
La vasta superficie piana del soffitto è dipinta ad affresco e simula la presenza di una cornice dorata inserita all’interno di un soffitto dipinto a lacunari con rosoni dorati a cui poi si sovrappongono otto medaglioni monocromi, imitanti cammei antichi, racchiusi entro cornici di gusto roccaille. Entro la cornice si apre su di un cielo luminoso, attraversato da nubi popolate da figure allegoriche legate al tema dell’Apoteosi delle Arti e delle Scienze, distribuite secondo un andamento sinuoso e ascensionale, che accompagna l’occhio dello spettatore verso il punto centrale dell’intera composizione. Nella zona meridionale della volta si trova un piccolo gruppo formato da una donna seduta di schiena e da un uomo elegantemente vestito con in mano una penna d’oca e tra le gambe un libro aperto, altri libri e due cigni. Sebbene il significato simbolico di questo gruppo abbia sempre suscitato nella critica numerosi dubbi interpretativi, è possibile ipotizzare che si tratti dell’allegoria dello Studio e della Meditazione, secondo una semplificazione del modello proposto nell’Iconologia di Cesare Ripa. Il fronte opposto è invece occupato dall’allegoria della Medicina, identificabile grazie al bastone di Esculapio e al gallo che le sta accanto. La donna è ritratta seduta sul bordo del cornicione, con la testa sollevata per osservare l’Astronomia, riconoscibile grazie alla sfera celeste, il cannocchiale e l’astrolabio, la quale volge a sua volta lo sguardo verso le allegorie della Storia e della Poesia, la prima intenta a scrivere e la seconda con la lira e la tromba in mano. Al di sopra di questo gruppo, nel centro reale del soffitto, Minerva è ritratta con i suoi attributi distintivi (l’elmo, la corazza dorata, la lancia e la civetta), mentre stringe in mano il caduceo di Mercurio, che si trova in volo appena sotto di lei, con il petaso in testa e i talari alati. Il momento rappresentato è dunque quello in cui la dea della guerra giusta e della sapienza invita il messaggero degli dei a diffondere la notizia del trionfo delle Arti e della Scienza. Il significato della scena è confermato anche dalla presenza di Pegaso che rimanda all’allegoria della “Fama chiara” descritta da Ripa, rimarcata ulteriormente dall’allegoria stessa della Fama, creatura alata intenta a soffiare nella sua tromba, collocata tra le due divinità e l’allegoria della Musica, seduta sul bordo del cornicione e accompagnata dalla sfera celeste e da alcuni strumenti a corda. Accanto a Mercurio sono visibili le allegorie della Pittura e della Scultura, la prima con in mano tavolozza e pennelli e la seconda nell’atto di maneggiare un busto. Il gruppo centrale è completato da una figura femminile con una cornucopia ed una falce che parrebbe rappresentare l’Abbondanza, intesa però come un riferimento alla ricchezza intellettuale. Il centro della piramide visiva è occupato da Apollo, con la cetra e l’arco, accompagnato dalle Muse ed un gruppo di donne nell’atto di suonare diversi strumenti musicali. La sezione di soffitto che sovrasta Apollo è meno popolata, occupata solo da una coppia di figure con ali di farfalla e due putti con una ghirlanda di rose ed un ramo di mirto.
Nei soffitti delle gallerie superiori e del portico del pian terreno, Zugno ha eseguito diversi riquadri contenenti putti policromi alternati a soggetti mitologici realizzati con la stessa tecnica a monocromo già adottata nei medaglioni della volta intermedia. Nei soffitti di quello che oggi è l’atrio che consente l’accesso da un lato al Ridotto e dall’altro alla Rotondina davanti la platea del teatro, si conservano ancora due riquadri con un putto in volo che regge un vassoio di fiori ed un’Arianna dipinta in grisaille, mentre nei riquadri del portico che si trova in fondo alla sala vengono rappresentati, partendo da ovest: la testa di un putto e la sommità di una cornucopia, tagliati a causa degli adattamenti architettonici dovuti all’edificazione dell’attigua saletta Butterfly; Nettuno con tridente e corona; un putto reggente una corona di fiori; Anfrite su di un carro a forma di conchiglia accompagnata da un delfino;  putto che, volando fuori dall’oculo dipinto, mostra solo la parte inferiore del corpo. Nella galleria del primo piano dove, partendo sempre da Ovest, si vedono: un putto con fiori, arco e faretra ridipinto nell’Ottocento insieme al putto su di un cuscino che decora il soffitto della sottostante scalinata che collega la sala del Ridotto al primo giro di palchi del teatro; Giunone su di una nuvola accompagnata dal pavone; Pan seduto di schiena intento a suonare il flauto; un putto con anfora, nel raccordo tra il lato occidentale e settentrionale; Diana con un cane; un putto che tiene un nastro legato alla zampa di una colomba; Endimione sorvegliato durante il suo sonno dal fedele cane. All’incrocio tra il lato nord ed il lato est si trova una quadratura architettonica illusionisticamente aperta verso il cielo senza nessuna decorazione, scelta dovuta al fatto che le gallerie del lato orientale, essendo più strette delle altre, rendono cieco all’osservatore al pian terreno questo angolo; si trovano poi nelle ultime due campate, dalla forma dunque stretta e allungata, due amorini, il primo intento a guardare attraverso un cannocchiale e l’altro sdraiato su una nuvola tra uccelli in volo. La galleria del primo piano sopra l’entrata presenta invece nei suoi soffitti tre animali dipinti a grisaille, dei quali quello al centro, ovvero un pavone con un mazzo di fiori sopra una nuvola, è una ridipintura successiva, mentre l’airone da un lato ed il delfino assieme ad un uccello dall’altro sono opere settecentesche di Zugno. Gli affreschi delle gallerie del secondo piano sono purtroppo sostanzialmente perduti, ne rimangono solo alcuni frammenti della decorazione architettonica ed un riquadro con una coppia di colombe in volo.
Recuperati completamente dal restauro svolto nel 2014 sono invece quattro statue entro finte nicchie dipinte a monocromo nelle pareti del secondo piano, che si trovavano nascoste al di sotto di quattro danzatrici dipinte nel 1894 da Bartolo Schermini. Qui Zugno vi rappresenta: nella parete orientale la Fama, con tromba e corona d’alloro, e l’Intelletto, armato di corazza, elmo in testa ed asta in mano; sulla parete occidentale invece si trovano l’Abbondanza, facilmente riconoscibile dalla cornucopia, ed una figura maschile che per mancanza di attributi specifici rimane di difficile interpretazione.
Nelle finte logge del primo e del secondo piano si svolgono una serie di scene con personaggi in abiti contemporanei colti nei più disparati atteggiamenti e gesti, inseriti entro uno spazio che continua illusionisticamente quello delle gallerie, ulteriormente rafforzato dalla realizzazione della metà inferiore delle figure al di là dei parapetti lignei che, sebbene si intravveda appena, rende ancora più complesso il gioco tra finzione e realtà.
Se l’architettura e la decorazione delle logge superiori e della volta mantengono pressoché inalterato il progetto Settecentesco, l’aspetto con cui oggi si presenta il pian terreno è sostanzialmente quello predisposto dall’architetto Antonio Tagliaferri in occasione del restauro del 1894, che, oltre alle già citate figure di danzatrici, ha determinato l’inserimento di quattro putti con specchiera distribuiti sui lati maggiori, l’aggiunta dei rigonfiamenti sulle basi delle lesene che vanno dal piano terra fino al cornicione posto tra primo e secondo piano, la realizzazione degli stucchi che decorano la porta di passaggio tra il Ridotto ed il primo giro di palchi e delle due cartelle con decorazione a stucco e oculo con grata contenenti due figure a monocromo sul lato meridionale della sala. Anche le specchiere con cornici dorate che rivestono le pareti sono state un’invenzione di Tagliaferri.

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 8 Cerere alla ricerca di Proserpina

Posizionata nell’angolo sud-ovest dell’ala occidentale del palazzo, questa sala, all’epoca adibita a camera con alcova, fu la prima delle stanze decorate da Giuseppe Manfredini, come dimostra un pagamento contenuto nel registro cassa della fabbrica del palazzo a suo favore datato 9 maggio 1794 (ASBs, Archivio Storico Civico, Archivio di Famiglie Diverse, Averoldi, b. 21, Fabbrica a San.ta Croce).

Nelle pareti della camera le uniche decorazioni presenti sono due nudi maschili tra armi e vessilli, dipinti a grisaille sopra l’arco di accesso all’alcova, ed un sopraporta con il Matrimonio di Alessandro Magno e Rossane. Sebbene Tanzi proponga quale modello del sopraporta la nota raffigurazione antica della Venditrice di amorini (Tanzi 1985, p. 82), in realtà il riferimento a cui guarda Manfredini è un affresco di soggetto analogo realizzato da Girolamo Siciolante da Sermoneta tra il 1540 e il 1545 oggi conservato presso la Galleria Borghese. Essendo stato l’affresco di Sermoneta considerato in passato opera autografa di Raffaello, è probabile che Manfredini avesse a disposizione un’incisione dell’opera, che copiò fedelmente, eliminandone solamente il gruppo di putti sulla destra del dipinto originale (Cretella 2016, pp.132-133).
Il soffitto della camera è decorato con un velario a ombrello, ornato con motivi di gusto neorinascimentale, che lascia intravedere la sottostante quadratura architettonica, all’interno della quale si inseriscono bassorilievi con trofei d’armi e trionfi all’antica. Occupa il centro del soffitto un ovale con la probabile rappresentazione di Cerere alla ricerca di Proserpina.
L’originale proposta di Manfredini per il soffitto restituisce l’attenzione che il pittore riservava per i repertori decorativi più aggiornati, come ad esempio quelli degli Adam, ed al contempo la sua capacità di rielaborarli.
Il soffitto dell’adiacente alcova è affrescato con una rigorosa quadratura architettonica ornata con finti bassorilievi decorati con girali d’acanto, maschere all’antica e riquadri con putti in atteggiamenti giocosi, al centro della volta si trova un medaglione in cui sono rappresentati due putti in volo tra nuvole.

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 7 Giunone scatena i venti

Questa sala, posizionata nell’angolo che guarda verso il cortile d’onore del braccio a sera del palazzo,  venne riccamente decorata da Manfredini nel 1795, come attesta l’iscrizione “JOSEPH / MANFREDINUS / PICTOR MED.S F. 1795” collocata nella facciata della capanna dipinta sulla parete occidentale.

Nelle pareti sono presenti otto riquadri con scene di genere legate al tema delle Stagioni in cui lo scorrere del tempo viene raccontato attraverso le varie mansioni del lavoro nei campi, a cominciare da quelle estive dove viene rappresentata la mietitura e la conseguente misura del grano compiuta sotto lo sguardo vigile del padrone, poi quelle autunnali legate alla vendemmia e quelle primaverili della potatura e dell’innesto degli alberi da frutto e la raccolta dei fiori, per giungere infine alla raccolta della legna in inverno.  In queste scene contadini e gentiluomini sono colti nei più minuti dettagli della vita quotidiana, rivelando così l’attenzione di Manfredini verso quella pittura di realtà proveniente da artisti lombardi come Giacomo Ceruti e Antonio Cifrondi.
Completano la decorazione delle pareti due sopraporta collocati nelle pareti minori, in uno viene rappresentato Apollo che scuoia Marsia e nell’altro Mercurio che dona la cetra ad Apollo. Si tratta di temi già affrontati da Manfredini nella “camera rossa” di palazzo Stanga Trecco di Cremona (1791), citando puntualmente,nel caso bresciano, le decorazioni di soggetto analogo dipinte da Annibale Carracci nella galleria Farnese a Roma.
Il soffitto è decorato con una quadratura architettonica aperta illusionisticamente sul cielo, dove volteggia Giunone che scatena i venti. Le fasce laterali sono invece scandite da costoloni, che formano delle vele angolari decorate con motivi animali e vegetali, e nicchie, contenenti festoni di fiori e coppie di putti in atteggiamenti giocosi. Tra le nicchie si inseriscono quattro riquadri con soggetti mitologici, ovvero la Fuga di Enea da Troia in fiamme, le Arpie rubano il cibo dalla tavola di Fineo, Teti che tempra la spada di Achille e Perseo che taglia la testa di Medusa. Nella finta trabeazione che regge la volta si colloca infine un fregio con rami di vite, maschere e canestri di frutta.
Nella decorazione della volta si riconferma l’importante influenza che la pittura bolognese ebbe per Manfredini. L’impianto architettonico dipinto per questa sala riprende infatti i modelli della volta del bolognese palazzo Poggi, affrescata da Pellegrino Tibaldi a metà Cinquecento, e quelli della galleria Farnese decorata da Annibale Carracci. Quest’ultimo è citato da Manfredini anche nell’ impostazione dell’episodio con Perseo, in quello della fuga di Enea e nell’attacco delle Arpie, il primo ripreso da una lunetta del camerino Farnese e gli altri due dalle decorazioni di palazzo Fava a Bologna.

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 6

Parzialmente interessata dai danni di un bombardamento aereo che colpì la città di Brescia la notte del 24 febbraio 1945, questa sala conserva ancora oggi parte delle decorazioni che Giuseppe Manfredini dipinse tra il 1794 ed il 1796.
L’integrità dell’apparato decorativo è comunque ancora apprezzabile grazie ad una foto storica conservata presso l’Archivio fotografico Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia, che mostra come la decorazione interessasse tutte le superfici della volta e delle pareti.

Delle pareti, un tempo suddivise in specchiature con motivi a candelabra e grottesche racchiuse entro cornici con decori vegetali, rimane solo un sopraporta raffigurante l’Incontro di Edipo con la Sfinge.
Nella parte superiore delle pareti, dove oggi si vede un finto cornicione movimentato da una modanatura a kyma ionico con ovoli e lancette e da un astragalo a perline, si sviluppava in origine un fregio continuo con putti, cigni e motivi vegetali.
La volta a botte era suddivisa in vele, lunette e riquadri tramite un intreccio di fasce e cornici con grottesche e motivi vegetali identici a quelli adottati per le pareti.
Nelle lunette e nelle vele Manfredini inserì scene ispirate al mondo classico e mitologico oggi apprezzabili solo nel lato meridionale della sala. Nel lunettone posto in corrispondenza del sopraporta superstite viene raffigurata la Lotta tra Ercole e Anteo davanti ad Atena e a Gea, mentre nelle vele vi sono tritoni e creature fantastiche.

 

Edoardo Lo Cicero

Galleria

Quella che un tempo era la Galleria rivolta verso il cortile d’onore si presenta oggi frazionata in sette piccole stanze che non conservano più tracce delle decorazioni settecentesche ad eccezione di un piccolo ambiente posizionato nell’estremità a mattina e separato da una parete vetrata, utilizzato ora come ingresso secondario alle sale del corpo centrale.

Questa sala conserva nella campata un medaglione opera di Teosa che, racchiuso entro una cornice quadriloba con modanatura a ovoli e dardi, mostra tre putti impegnati in un girotondo aereo.
La paternità delle decorazioni della Galleria è certa grazie ad un documentato pagamento avvenuto il 4 ottobre 1794 a favore di Teosa (ASBs, Archivio Storico Civico, Archivio di Faiglie Diverse, Averoldi,  p. 21, Fabbrica a Santa. Croce). Tuttavia in origine la famiglia Chizzola incaricò di questi lavori Tellaroli, il quale, sebbene nel 1791 se ne assumesse ufficialmente l’impegno, li lasciò probabilmente interrotti.
Nelle pareti sopravvivono anche delle lesene con motivi a candelabra ed una fascia a cassettoni che corre attraverso la campata. Lo stile di queste quadrature, rese attraverso un severo monocromo grigio, è molto lontano dal segno leggero utilizzato sia di Tellaroli che da Teosa, tanto da far ipotizzare  la presenza di un ignoto quadraturista attivo durante l’Ottocento (Cretella, p. 127).

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 5

Posta tra la “sala cinese” e la galleria, questa stanza è stata decorata da Giuseppe Teosa nel 1796, durante l’intervento di trasformazione voluto dai fratelli Chizzola.

La decorazione, molto semplice e sobria, vede nella volta l’applicazione di motivi vegetali e nastri in stucco e nelle pareti quattro riquadri, dipinti a grisaille e racchiusi entro cornici con perle e fusi sostenute da nastri, che raffigurano: Pigmalione innamorato della statua di Galatea, Perseo e Andromeda, Leda e il cigno e Orfeo incanta gli animali.
Le tinteggiature pastello che si vedono su pareti e soffitto sono state applicate in tempi successivi.

 

Edoardo Lo Cicero

Alcova

Questa sala, posizionata nel corpo centrale della fabbrica tra la Galleria e la sala 4, è stata interessata nel corso del tempo da diversi interventi di trasformazione (testimoniati soprattutto dalle porte di forme e dimensioni differenti, in qualche caso anche tamponate) che hanno minato l’integrità delle decorazioni.
I danni subiti dagli affreschi rendono difficoltoso risolvere i problemi attributivi laddove neppure gli archivi appaiono chiarificatori a riguardo: se infatti nel Libro Fabbrica in Brescia a Sta Croce (Brescia, Archivio di Stato [=ASBs], P.L. Casa di Dio, b.318) una nota riferita a dei pagamenti a favore di Tellaroli potrebbe essere collegata a questa decorazione, all’interno di documenti ottocenteschi si rintraccia anche l’intervento di un ignoto pittore Pivetti. Fausto Lechi propone invece che la sala possa esser stata decorata da Saverio Gandini (Lechi, p. 324).

Nella parte bassa delle pareti si trova uno zoccolo dipinto a finto marmo sul quale poggiano otto lesene con motivi a candelabra che sorreggono un fregio, dipinto a monocromo con foglie d’acanto, vasi apodi ed anfore circondate da corone di foglie di quercia.
Nelle campiture tra una lesena e l’altra sono collocati nella parte superiore delle pareti dei drappi, che sostengono cesti di frutta, animali, fiori,insegne romane, strumenti musicali e da cui pendono gioielli stile impero. Il colore di fondo della parete in corrispondenza del festone si presenta più chiara rispetto al resto della parete, cui unica altra decorazione sono alcuni fiori posti sopra la zoccolatura che vanno a sovrapporsi a precedenti composizioni vegetali in monocromo verde; questi dettagli sembrerebbero indicare una ridipintura della porzione sottostante delle pareti.
Completano la decorazione delle pareti due sopraporta raffiguranti una natura morta con piante e animali.
La volta è dipinta come fosse un pergolato con travi ricoperte da festoni di fiori e foglie che sostengono veli trasparenti, e dove cime di varie specie di piante si lasciano intravedere sul cornicione.

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 4

Questa sala, collocata nel lato est del corpo centrale del palazzo, venne probabilmente affrescata da Tellaroli tra il 1788 ed il 1791.

La decorazione coinvolge solo il soffitto dove, sopra ad un tenue sfondo verde, si svolge una serie di riquadri contenenti motivi in stile pompeiano.
Le pareti, oggi spoglie, erano rivestite in origine da tappezzerie in seta e, su quella ad est, si conserva ancora una caminiera ed una specchiera con cornice, in legno intagliato e dorato, di gusto neoclassico.

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 3 Mercurio e Aurora

Questa stanza, che è oggi un piccolo gabinetto annesso alla sala con Venere e cupido, conserva nella parte superiore delle pareti e nel soffitto una decorazione ad affresco ascrivibile alla mano di Teosa, databile tra il 1788 ed il 1791
Purtroppo l’integrità degli ornamenti pittorici risulta gravemente deteriorata sulla parete ad est, dove l’apertura di una finestra in epoca successiva ha interrotto la leggibilità e la simmetria della decorazione.

Sopra ad un basamento continuo poggiano otto cariatidi (oggi ne sono visibili solo sette) e quattro lesene con decoro a candelabra (distribuite due per ogni lato maggiore, e delle quali oggi visibili solo tre).
Il basamento è arricchito da maschere femminili e bassorilievi decorati con putti in atteggiamenti concitati.
La scelta di ritrarre gli amorini in tal maniera richiama i soggetti dei tre riquadri superstiti alle pareti collocati tra le cariatidi entro ad una semplice cornice dorata, in essi si svolgono le scene di Venere e Cupido in atto di scagliare le sue frecce, Musa colpita da una freccia di Cupido e Cupido punito e disarmato.
Il tema del dio dell’Amore battuto conosceva, tra XVII e XVIII secolo, una discreta fortuna letteraria come ad esempio nel Trionfo d’Amore di Metastasio (1765).
Il centro del soffitto piano è ornato da un medaglione ovale con cornice di alloro raffigurante Mercurio e Aurora tra amorini.
Il medaglione si inserisce all’interno di una specchiatura che nei lati minori lascia spazio ad un ampia cornice, dove trovano posto due fregi con girali d’acanto e teste interrotti dall’ inserimento, al centro, di due piccoli riquadri esagonali dipinti a grisaille, in cui viene richiamato nuovamente il tema di Venere e Cupido.

 

Edoardo Lo Cicero

Sala 2 Venere e Cupido

Tra gli ambienti della zona a mattina del corpo centrale, la sala posta nell’angolo nord-est è quella che conserva meglio le decorazioni pittoriche eseguite tra il 1788 e il 1791 in concomitanza con il rinnovamento in chiave neoclassico di questa parte del palazzo.
Uniche tracce superstiti della decorazione parietale sono alcune tracce di affresco sotto l’intonaco, la cui leggibilità è però nulla, e quattro sopraporta, dipinti da Teosa, raffiguranti menadi di ispirazione classica entro una cornice ovale dorata, incastonata in una quadratura architettonica scandita da una modanatura semplice.
Meglio conservata è la decorazione del soffitto, al centro del quale si trovano Venere e Cupido entro una cornice dorata ovale racchiusa da una doppia modanatura, dove tra l’una e l’altra Tellaroli inserisce un motivo vegetale in finto stucco policromo sopra ad un tenue sfondo rosa.
Negli angoli sono inseriti quattro grandi riquadri a spicchio dove si svolge un motivo di lire e girali d’acanto in finto stucco dorato su sfondo blu, anch’essi racchiusi entro una cornice dorata ed una doppia modanatura.
Completano la decorazione quattro specchiature, arricchite da un motivo vegetale policromo, il cui profilo segue le ellissi formate dell’intersezione della modanatura dell’ovale centrale con quella dei riquadri angolari.

 

Edoardo Lo Cicero