Palazzo Gambara

Sotto a un prospetto che appare armonico e unitario, si nascondono in realtà due fabbriche edificate in tempi diversi. La prima, che si sviluppa dall’angolo a mattina fino a circa due terzi dell’attuale estensione del palazzo, è il risultato di un restauro seicentesco che la famiglia Maggi operò su un precedente edificio del Cinquecento;la seconda, fu innalzata a partire dal 1730 per volere di Scipione Gambara (dopo il cambio di proprietà avvenuto nel 1655) e conclusa dai suoi discendenti solo diversi anni più tardi (Lechi 1977, p. 107).
Entrambi questi momenti sono ancora facilmente leggibili nel prospetto su via Gezio Calini: se nelle finestre del piano terreno (con bugne schiacciate che ricordano quelle di palazzo Martinengo Cesresco), sono rispettate le forme tipiche del tardo cinquecento bresciano, in quelle del secondo piano e nei due portali si riconosce invece il disegno dell’architetto Antonio Marchetti, coinvolto nella progettazione del palazzo da Eleonora Gambara, nipote di Scipione, e dal figlio Angelo Griffoni (Lechi 1977, p. 113).
In origine lo stabile presentava un unico corpo di fabbrica e, circondato da mura, un grande cortile interno. Tuttavia, tra il XIX e il XX secolo, al palazzo fu aggiunto il corpo di fabbrica a sera e una torre per le osservazioni astronomiche, spazi divenuti necessari dopo la trasformazione dell’edificio in seminario vescovile verso la metà dell’Ottocento (Lechi 1977, p.113).
Attraverso il grande scalone centrale, dipinto da Saverio Gandini con un grandioso trompe l’oeil che occupa l’intera volta, si giunge al piano nobile e, voltando a sinistra, alla parte più antica del palazzo che ospita il grande salone d’onore (sala Morstabilini), decorato da Ludovico Bracchi nella seconda metà del Seicento. A sera dello scalone, invece, si estende la parte settecentesca dell’edificio, all’interno della quale si trovano due sale poste una dirimpetto all’altra, che nel soffitto presentano decorazioni architettoniche di gusto tardo barocco (sala Maggi) e neoclassico (sala Gambara). Continuando verso ovest si giunge a una sala con sei porte dipinte e, infine, agli ultimi due ambienti del palazzo: il primo, posto verso il cortile, ospita nel soffitto le raffigurazioni di Minerva, Giunone, Venere e Cupido, mentre l’altro, che guarda verso la strada, è ornato da una quadratura architettonica al cui interno sono illustrati quattro celebri amori mitologici (il ratto d’Europa, Perseo e Andromeda, Polifemo, Aci e Galatea ed Ercole e Deianira).

Edoardo Lo Cicero

Palazzo Guanieri, ora Gervasoni

L’edificio venne edificato da un architetto tutt’ora ignoto nel corso del XVI secolo, per volere della famiglia Montini. Tuttavia, se Fausto Lechi fa risalire l’edificazione del palazzo al 1570-1580 (Lechi 1974, p.230), momento in cui i fratelli Annibale e Gaspare Montini insieme alle rispettive famiglie si trasferiscono sotto un unico tetto, Antonio Rapaggi propone di anticipare di qualche decennio la costruzione del palazzo e di considerare Gio. Battista Montini, padre di Annibale e Gaspare, il committente del progetto (Rapaggi 2014, p.24).
L’edificio presenta una caratteristica pianta a U che racchiude, entro tre distinti corpi di fabbrica, una corte interna, la quale ospita oggi la scultura “Gli Archeologi” di Giorgio De Chirico. La facciata esterna del corpo principale, che si affaccia su via Fratelli Cairoli, è composta da tre piani scanditi in maniera simmetrica. Nel primo e nel secondo si trovano undici finestre con cornici marmoree, mentre al piano terreno le nove aperture si alternano, a gruppi di tre,ai due portali. Questi ultimi sono costituiti da un arco a tutto sesto sormontato da un’elegante trabeazione che si differenzia, tra un portone e l’altro, per la scelta cromatica operata tramite l’utilizzo di due pietre differenti: l’ingresso di sinistra, in pietra bianca, è decorato da due mezze sfere scure, mentre quello di destra è in pietra nera con le mezze sfere bianche. Questo motivo si può ritrovare nelle grandi fabbriche rinascimentali bresciane, quali l’accesso allo scalone del palazzo della Loggia ed il protiro di Santa Maria dei Miracoli, e nei coevi palazzi Martinengo di Padernello e Calini ai Fiumi.
Il secondo piano è un’aggiunta settecentesca realizzata durante i lavori di ampliamento e ammodernamento operati dai nuovi proprietari, i fratelli Ettore ed Ercole Oldofredi, dopo aver acquistato il palazzo dalla famiglia Montini nei primi decenni del XVIII secolo. Oltre alla sopraelevazione del secondo piano, i lavori compresero la trasformazione dell’antica loggia che si affacciava sul cortile in una luminosa galleria e l’inserimento di due scaloni alle estremità del portico preesistente.
In epoca napoleonica il palazzo cambiò nuovamente proprietà, passando nelle mani del banchiere e mercante Antonio Bellotti che,in occasione del matrimonio tra il figlio Bernardo e la contessa Amalia Balucanti, intraprese una serie di lavori di rinnovamento del palazzo, diretti forse da Rodolfo Vantini, come sembrerebbero suggerire le mensole del prospetto interno del palazzo e le chiavi di volta a forma di ricciolo, segno tipico del lessico vantiniano. Sicuro è invece il coinvolgimento dell’architetto bresciano negli anni tra il 1853 e il1856, quando Bernardo Bellotti gli affidò i lavori che porteranno alla realizzazione di uno dei più sorprendenti e meglio conservati esempi di arredo di età romantica in Italia.
Nel 2000 il palazzo venne acquistato da Lino Gervasoni, dopo che era passato per linea ereditaria alla famiglia Guaineri, il quale affidò i lavori di restauro allo studio di architettura Giovanni Torelli-Roberto Frassoni (Rapaggi 2014, p 36).

Una prima sala, decorata nei primi anni del XIX secolo e che svolge oggi la funzione di cappella, si trova al pian terreno, non distante dallo Scalone a mattina che, riccamente dipinto nella prima metà del Settecento, rappresenta la via d’accesso privilegiata gli ambienti nobili del palazzo. Tramite la scalinata si giunge alla grande Galleria a T del palazzo, ove nel primo Ottocento lavorarono Giuseppe Manfredini e Giuseppe Dragoni, che permette l’accesso a tre sale decorate nel Settecento: la prima (Sala 1) con esuberanti motivi vegetali, la seconda (Sala 2) con un Trionfo di Roma e la terza (Sala 3) con quattro tele raffiguranti le Quattro stagioni incassate nel soffitto ligneo. Adiacente a queste tre ambienti si trova lo Scalone a sera, che venne ornato nel XIX secolo e svolgeva funzioni di servizio. Infine, poste all’estremità del corpo ovest del palazzo, si trovano due ambienti ove lavorò Giuseppe Teosa: il primo (Sala 4) vede raffigurato nel soffitto il tema di Apollo e Artemide, mentre il secondo (Sala 5) una raffigurazione delle Tre Grazie libera da cornici o quadrature.

 

Edoardo Lo Cicero

Teatro Grande, già Sede dell’Accademia degli Erranti

L’Accademia degli Erranti, istituita nel 1619 da un gruppo di eruditi appartenenti all’aristocrazia bresciana, cercava da tempo una sede definitiva per svolgere le proprie attività. Fu trovata, dopo diverse peregrinazioni in spazi provvisori, solo nel 1639, quando l’Accademia ottenne dal governo bresciano la gestione della casa del vicario collaterale, situata nei pressi di piazzetta Panagora sul terreno dove sorge tuttora il Teatro Grande. Affidandosi agli architetti Giovanni Battista e Teodoro Avanzi, gli Accademici intrapresero subito diversi lavori di risistemazione della propria sede facendo erigere un grande loggiato affacciato sul campo destinato agli esercizi cavallereschi, una vasta sala dedicata alle riunioni e altri ambienti più raccolti destinati a vari usi.
Le vicende che legarono le sorti dell’Accademia al mondo del teatro ebbero inizio nel 1664 con la concessione data all’impresario Antonio Branzino di poter costruire un teatro sotto i portici della cavallerizza. Il teatro fu poi rinnovato nel 1710, con la decisione di murare la loggia e sostituire gli ormai vecchi e precari palchi con una nuova struttura lignea progettata dall’architetto Francesco Pinolla.
Nel 1739 la nuova sala teatrale subì un grave danno strutturale, tanto che si rese necessario demolirla assieme alla soprastante sala accademica e costringendo gli Erranti a dover ricostruire la propria sede. Su consiglio degli scenografi Pietro Righini e Antonio Cugini, incaricati della conduzione dei lavori, gli Accademici decisero di concentrare le proprie risorse economiche in prima istanza sull’edificazione di una più vasta sala teatrale, e dedicarsi solo in un secondo momento alla sala delle riunioni accademiche, in seguito nota come Ridotto, sperando che l’affitto di un maggior numero di palchi fruttasse presto le entrate sufficienti per iniziarne i lavori, che tuttavia ebbero inizio solamente nel 1760.
L’ultima trasformazione architettonica che l’Accademia degli Erranti apportò alla propria sede prima del suo scioglimento, avvenuto nel 1797 a causa delle riforme napoleoniche, riguardò la facciata verso Corso Zanardelli. Tra il 1772 ed il 1783 l’impatto scenografico e monumentale dell’edificio era stato decisamente ridotto dalla costruzione dei portici previsti dal programma di riqualificazione di quella che al tempo era la piazza del Mercato del Vino. Deputati Pubblici ed Erranti decisero allora di restituire lustro al prestigioso edificio intraprendendo i lavori che condussero all’edificazione di quello che è l’attuale prospetto del Teatro Grande, la cui lunga fase esecutiva, protrattasi dal 1784 al 1790, si concretizzò nella fusione dei disegni degli architetti Antonio Vigliani, Gaspare Turbini e Bortolo Vigliani. Ne risultò una facciata organizzata in un pronao diviso in una parte centrale scandita da quattro colonne con bugnatura a fasce e capitelli ionici, le quali vanno a fondersi con i pilastri di due ulteriori aperture laterali, simili a portali indipendenti. L’altezza delle colonne e dei pilastri è doppia rispetto alle arcate dei portici circostanti, permettendo così di distinguere immediatamente il corpo di fabbrica. Sopra ad il pronao poggia una trabeazione su cui si imposta la trabeazione della terrazza.
Nel corso del XIX secolo, il Teatro Grande subì ulteriori modifiche. Il primo cambiamento riguardò il rifacimento, nel 1810, della grande sala teatrale secondo il progetto dell’architetto milanese Luigi Canonica e le decorazioni di Giuseppe Teosa, che vi rappresentò un’allegoria dedicata ai successi militari di Napoleone. Allo stesso torno di anni si colloca anche la costruzione di un ambiente dedicato ai giochi d’azzardo, la cosiddetta Saletta neoclassica, la cui decorazione venne affidata ancora una volta a Teosa, che la completò entro il 1811.
Un’ulteriore modifica interessò la sala teatrale nel 1862, la cui decorazione legata alle imprese napoleoniche, ad un anno di distanza delle recente proclamazione del Regno d’Italia, venne sentita inopportuna e quindi sostituita da una fastosa ornamentazione neobarocca, opera del pittore Luigi Campini e dello scenografo Girolamo Magnani, quest’ultimo coinvolto nello stesso momento anche nella risistemazione della Sala delle Statue.
Ultimo intervento ottocentesco fu, nel 1894, il restauro che Antonio Tagliaferri operò nella sala del Ridotto.

 

Edoardo Lo Cicero

Palazzo Averoldi, ora sede del Rotary Club

L’accesso all’edificio, fatto edificare a partire dal 1544 per volontà dei fratelli Giovanni Andrea, Leandro, Mario e Fulgenzio Averoldi, avviene tramite due portoni. Il primo è quello su via Moretto, composto da un semplice bugnato ornato solo da due teste di Medusa e collocato entro una facciata asimmetrica ed essenziale. Questo portale immette al cortile di servizio antistante il palazzo vero e proprio, organizzato su di una pianta a U raccolta intorno ad un cortile porticato, al qual è possibile accedere direttamente attraverso un secondo portone posto su contrada Santa Croce. Il portico è scandito da sedici arcate (sei nel corpo centrale e cinque nelle ali laterali) sorrette da colonne toscane, mentre la facciata del piano nobile si presenta divisa da lesene ioniche in scomparti, nei quali si collocano le finestre.
Il progetto, sostiene Lechi, potrebbe essere un lavoro giovanile di Lodovico Beretta (Lechi 1974, p.313).
Il palazzo ad inizio Settecento risultava diviso in due blocchi, nell’ala est dimoravano Aliprando Averoldi e la moglie Cecilia Schietti, mentre nel corpo centrale e nell’ala ovest si trovavano i fratelli Vincenzo, Antonio e Barbara Averoldi. Dei tre fratelli i due maschi non lasciarono eredi, mentre la sorella sposandosi con Ferdinando Chizzola del ramo di Ebrusco diede alla luce tre figli: Giuseppe, Faustino e Ottavia.
Diviso tra due famiglie diverse, il palazzo fu soggetto in quegli anni ad alcune modifiche architettoniche. Gli Averoldi innalzarono tutto il primo piano sopra il portico est, che in origine doveva probabilmente avere una terrazza. I segni di questi lavori si possono scorgere dalla facciata su contrada Santa Croce, dove il risvolto del primo piano originale è ancora identificabile grazie al fianco di una lesena ionica in marmo ancora visibile (Lechi 1974, p. 324). I Chizzola invece, possessori di una parte ben più estesa del palazzo, ricavarono nel corpo di sera uno scalone a due rampe e ridussero contemporaneamente il volume del salone d’onore del corpo centrale, impegnandosi poi, soprattutto Giuseppe e Faustino, nel rinnovamento delle decorazioni al nuovo gusto neoclassico.
La decorazione delle sale del primo piano nobile si svolse in tre momenti diversi, compresi tra il 1788 e il 1796 e venne affidata ai pittori Giuseppe Teosa, Saverio Gandini, Francesco Tellaroli e Giuseppe Manfredini. Altre sale affrescate sono presenti nel pian terreno dell’ala est, decorate nel corso del Cinquecento da Romanino e Gambara.
In seguito la proprietà dell’intero palazzo tornò esclusivamente alla famiglia Averoldi; Giuseppe e Faustino Chizzola infatti non ebbero eredi, mente la sorella, che aveva sposato l’ultimogenito di Aliprando e Cecilia, Ettore Averoldi, diede alla luce Cesare.
Il palazzo è oggi proprietà della Fondazione Casa di Dio.

Provenendo dallo scalone posto a ovest del corpo principale del palazzo, la prima stanza che s’incontra è il grande Salone d’onore decorato da Giuseppe Manfredini e Giuseppe Teosa con La Gloria militare di Giovan Battista Chizzola. Seguono poi, continuando verso mattina, la Sala dei Quadri, la Sala cinese, una sala con decorazioni a grisaille eseguita da Francesco Tellaroli (Sala 1) e infine, nell’angolo nord-est del palazzo, una sala ove Teosa raffigura Venere e Cupido (Sala 2) e, per opera dello stesso autore, un piccolo ambiente che nel soffitto vede rappresentati Mercurio e Aurora (Sala 3).
Poste tra questa enfilade di sale e quella che era la galleria, rimangono tre ambienti decorati da Tellaroli (Sala 4; Alcova) e Teosa (Sala 5). Della Galleria, invece, che si presenta oggi frazionata in ambienti più piccoli, rimane traccia di solo una porzione della decorazione, realizzata da Teosa nel 1974.
Infine, poste nel corpo a sera del palazzo, vi sono altre tre sale ornate da Giuseppe Manfredini tra il 1794 e il 1796. Nella prima (Sala 6), colpita purtroppo dai bombardamenti del 1945, rimane traccia solamente di una piccola parte delle decorazioni, mentre le altre due, sostanzialmente integre, vedono raffigurati nei soffitti i temi di Giunone che scatena i venti (Sala 7) e di Cerere alla ricerca di Proserpina (Sala8).

 

Edoardo Lo Cicero

Palazzo Tosio, ora sede dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti

Il palazzo sorge al posto di tre precedenti edifici: la casa all’angolo tra via Tosio e l’attuale via Crispi era della famiglia Filippini; seguivano l’abitazione della famiglia Tosio e quella dei Colpani. Il palazzo attuale, realizzato per volontà di Paolo Tosio, è il risultato di una lunga e graduale serie di lavori avviati nel 1810 e conclusi nel 1846. La prima fase di lavori (1810-1814) ha interessato gli ambienti di rappresentanza dell’ala nord e furono affidati a Luigi Basiletti e al fratello Antonio. Nel 1824, la direzione dei lavori passa a Rodolfo Vantini, responsabile della costruzione di una nuova ala posta a ovest e sorta sull’area precedentemente occupata da casa Colpani. L’anno seguente, Tosio acquista anche casa Filippini, permettendo al Vantini di ampliare ulteriormente l’edificio sul lato verso via Crispi.

La struttura definitiva del palazzo appare quindi impostata secondo una pianta a U sviluppata intorno al cortile interno, chiuso a sud dal un muro con terrazza che collega le ali laterali. Al piano nobile si accede attraverso lo scaloncino a due rampe costruito nel lato orientale del portico del cortile. Nell’ala nord, rivolta verso via Tosio, vi sono gli ambienti predisposti da Basiletti, mentre nell’ala occidentale è ospitata la doppia enfilade di sale che compongono il cosiddetto Appartamento novo, interamente progettato da Vantini secondo uno stile unitario e sontuoso, in pieno stile impero. L’ala orientale è invece occupata da cinque ambienti utilizzati dal conte Tosio come galleria dei dipinti antichi, riconvertiti in biblioteca dall’Ateneo, qui rimasta fino al 1959.

La facciata, realizzata secondo un progetto di Vantini del 1833, si sviluppa su tre livelli ed è suddivisa in tre parti: le due ali laterali con tre finestre e portone secondario hanno una superficie a bugnato e marcapiano con motivo a meandro, mentre il corpo centrale, con sei finestre e portone centrale nel piano terra e sette finestre nei piani superiori, è rivestito con un intonaco liscio. Le finestre del piano nobile sono trabeate e dotate di balaustra, mentre in asse con il portone sottostante si trova la porta finestra con trabeazione e timpano triangolare, e balcone aggettante. La facciata si chiude con un cornicione lineare leggermente aggettante.

Biblioteca Queriniana

Il palazzo, costruito su disegno dell’architetto Marchetti, è stato voluto dal cardinale Angelo Maria Querini, vescovo di Brescia, per ospitare le collezioni bibliografiche donate dal cardinale al Comune e aperte ufficialmente al pubblico nel 1750. L’edificio presenta una pianta a U, con brevi ali laterali che chiudono il giardino vescovile e manica lunga rivolta verso via Mazzini. La facciata su strada è semplice e lineare, priva del tradizionale portale monumentale centrale, sostituito da due piccole porte all’estremità, sormontate da un balconcino. La sezione centrale, occupata al primo piano dal salone della biblioteca, sporge leggermente ed è sormontato da un attico delimitato da balaustra e statue realizzate da Alessandro Calegari, Giovanni Battista Robustelli e Antonio Ferretti (Apollo, allegorie delle arti e delle scienze, quattro putti). All’interno, il collegamento tra il piano terreno e il piano superiore è costituito dallo scalone che conduce all’atrio decorato con stucchi, affreschi e statue. Dalla porta presente nella parete meridionale si accede a una enfilade di cinque stanze adibite a sala di lettura: quattro ambienti a pianta quadrata e salone centrale a doppia altezza.

Palazzo Gaifami, ora sede della Croce Bianca

Il palazzo fu edificato nel torno d’anni compreso tra il 1742 e il 1744 su commissione dei fratelli Gaifami, per celebrare la propria ammissione al Consiglio generale cittadino (Quecchia, 2015, p. 78). La facciata si presenta scandita in tre parti da lesene di ordine gigante con capitelli mistilinei ornati a ovoli e triglifi che sorreggono il cornicione superiore e che si ripetono alle estremità della struttura, come chiusura della decorazione architettonica. Il portale d’accesso è incorniciato da colonne ioniche che sostengono l’architrave lineare e la balconata con balaustra in pietra che si apre dinnanzi la porta finestra principale. Le finestre sono decorate da mensole aggettanti nell’ordine inferiore e, al piano superiore, da timpani leggermente sporgenti che alternano la canonica forma triangolare a quella ad arco ribassato. Sopra il massiccio cornicione continuo, al centro della struttura, si staglia una sopraelevazione finestrata con coronamento a timpano, in corrispondenza del salone centrale a doppia altezza. Il portone monumentale permette di entrare nell’atrio a tre campate che immette, a sua volta, nel cortile interno, sul quale si affacciano quattro porte di accesso al piano terreno dell’edificio. Il monumentale scalone, caratterizzato da un maestoso soffitto raffigurante Le Arti Liberali guidate dalla Fama verso la Magnificenza, immette al piano nobile in cui un ampio salone d’onore passante, a cui lati si dispongono cinque sale decorate: da una parte la sala del Sapere, la sala di Bacco e la sala di Zefiro, dall’altra, la sala della Giustizia e della Pace e l’Alcova. Le decorazioni pittoriche sono attribuite a Carlo Innocenzo Carloni per quanto riguarda le parti figurative e a Carlo Molinari e Giovanni Zanardi per le quadrature architettoniche. Gli apparati pittorici attribuiti a Carlo Innocenzo Carloni e Carlo Molinari e possono essere datati, su base stilistica, entro il 1750 (Quecchia 2015, p. 78).

Giulia Adami

Palazzo Martinengo Cesaresco, ora sede dell’Università cattolica e del Collegio Arici – Brescia

La struttura dell’edificio attuale è frutto di numerose fasi costruttive iniziate nel 1557 con la ristrutturazione di un precedente edificio, sempre di proprietà della famiglia Martinengo. I lavori cinquecenteschi, ultimati verso il 1570, furono affidati a Ludovico Beretta e interessarono il corpo di fabbrica affacciato su via Trieste, con l’atrio d’ingresso e il salone al piano nobile. Quest’ultimo occupa la metà rivolta a mattina dell’ala principale ed è coperto da un soffitto ligneo con travi sostenute da modiglioni scolpiti. La facciata cinquecentesca si sviluppa in lunghezza ed è chiusa da un cornicione con doccioni a forma di teste di leone. La facciata, sulla quale si aprono finestre con cornici a bugnato nel primo livello e finestre con timpani alternativamente triangolari e ad arco ribassato nel livello superiore, ha una superficie liscia continua ed è attaversata da un semplice marcapiano che separa il piano terreno dal piano nobile. Il portale principale, non in asse con il centro del prospetto, è in marmo a grandi bugnati, alternati a panoplie d’armi e mascheroni scolpiti. Al centro dell’arco è inserito un grande scudo con coppia di sirene e corona, al centro del quale si inserisce l’aquila della famiglia Martinengo, mentre ai lati si trovano due sculture muliebri.

Il cortile interno è separato dalla corte minore, sulla quale si affacciavano le scuderie e i locali di servizio, da una lunga ala eretta intorno al 1680-1690, che oggi collega il prospetto principale con la palazzina costruita nel secondo dopoguerra sul lato nord del cortile, al posto del precedente edificio neoclassico progettato da Vincenzo Berenzi.

La parte antica dell’attuale palazzo si sviluppa quindi secondo una pianta a T, costituita dal corpo di fabbrica principale, affacciato su via Trieste, e dalla manica seicentesca che taglia in due il cortile. Quest’ultima, contiene quattro sale rivolte a mattina e quattro a sera, affrescate tra il 1797 e il 1799 da Giuseppe Manfredini e Giuseppe Teosa. Le altre strutture che chiudono il palazzo e gli conferiscono una planimetria rettangolare, sono state edificate in tempi successivi e non presentano significativi apparati decorativi.

Stefania Cretella

Palazzo Salvi, poi Bonoris

Architettura:

Il palazzo si trova tra palazzo Beretta e palazzo Tosio e presenta una facciata piuttosto semplice, priva di elementi aggettanti od ornati particolati. Al centro è collocato il semplice portone inserito in un arco a bugnato; le otto finestre del piano terreno e le undici del mezzanino, in parte tamponate, sono inquadrate in stipiti lineari in pietra, mentre le undici aperture del piano nobile sono arricchite da una semplice trabeazione. La superficie della facciata è scandita da quattro lesene interrotte dal marcapiano che corre sotto le finestre del piano nobile e che terminano, senza capitelli, nella cornice che chiude la parte superiore della facciata. Superato il portone si accede all’atrio con colonne gemine che conduce al cortile, chiuso da un muro con fontana neoclassica. Sulla sinistra si trova lo scalone di accesso al piano superiore. L’edificio presenta una pianta a U, composta da corpo di fabbrica principale posto tra la strada e il cortile e da due ali laterali che chiudono la corte interna.

Stefania Cretella

Palazzo Provaglio, ora Liceo Luzzago

Il palazzo fu eretto nella seconda metà del Settecento per volontà della famiglia Provaglio, probabilmente originaria della zona tra il Lago d’Iseo e il bergamasco. In seguito ai bombardamenti che interessarono la città di Brescia il 4 aprile 1945, il palazzo venne gravemente danneggiato, preservando parzialmente alcune porzioni della facciata, lo scalone d’onore e il salone d’Ercole, seppur in parte rovinato. La facciata, progettata dall’architetto Antonio Turbino, doveva contraddistinguersi per un forte gusto neoclassico, caratteristica deducibile dalle finestre superstiti.

Nel 1946, i resti del palazzo vennero acquistati da don Adolfo Buratti, il quale creò un collegio maschile e un Istituto scolastico dedicato alla figura di Alessandro Luzzago, nobile patrizio bresciano.

All’interno, l’elemento di maggior interesse è lo scalone d’onore, un solenne impianto a due rampe con una balaustra marmorea su cui poggia la statua di un leone a riposo e due statue raffiguranti atteri. Il soffitto è decorato da tre medaglioni raffiguranti Giove, Venere, Cupido e Saturno, L’Allegoria del Tempo che domina la Verità e Cerere e Bacco.

Si apre poi il salone d’onore, decorato con affreschi raffiguranti le Storie d’Ercole eseguiti tra il 1797 e il 1802 (Anelli 2013, pp.751-761).

Ancora oggi l’edificio è sede del Liceo Luzzago, gestito dalla Fondazione Olgiati Luzzago.

 

Maddalena Oldrizzi