Sala con putti

Questo ambiente, posto nel corpo settentrionale, è stato ornato nei primi decenni del XIX secolo in stile neoclassico.

Le pareti presentano solamente due decorazioni a fascia, una è posta nella parte bassa delle mura, poco sopra lo zoccolo in pietra, mentre l’altra corre nella parte alta, sotto a un finto architrave in pietra formato da triglifi e rombi. Entrambe le fasce sono composte da racemi di quercia e ulivo, quella inferiore, però, è arricchita dalla presenza di lepri, mentre quella superiore da api, libellule e faretre.

Il soffitto è decorato con una semplice quadratura architettonica che, alla reale struttura piana della volta, aggiunge solamente un oculo centrale ottagonale. All’interno di questo, che sfonda illusionisticamente lo spazio verso un cielo ingombro di nubi, è possibile ammirare quattro putti intenti a giocare tra loro, che presentano interessanti affinità stilistiche e compositive con il girotondo di putti dipinti da Teosa nella galleria del primo piano di palazzo Averoldi. Il resto del soffitto è ornato da otto composizioni in finto stucco formate da cigni, aquile, vasi, fiori e foglie d’acanto.

Sala con Venere e Cupido

La decorazione pittorica di questa piccola sala, posta nel corpo settentrionale del palazzo, coinvolge solamente la volta. Questa è stata organizzata attraverso una sobria divisione in specchiature di gusto neoclassico, abbellite da diversi motivi ornamentali, quali composizioni vegetali, festoni e medaglioni con busti all’antica. Al centro della volta all’interno di un grande oculo dai contorni mistilinei è possibile vedere la raffigurazione di Venere e Cupido che, a differenza della quadratura, eseguita durante i primi anni del XIX secolo (Cretella 2020, p. 209), risale agli anni centrali del Settecento (Lechi 1977, p. 310).

Sala con paesaggi

Questa sala, posta nell’angolo nord-ovest del corpo settentrionale del palazzo, è stata decorata nei primi decenni del XIX secolo e presenta interventi pittorici sia nella volta, che nelle pareti. Queste ultime mostrano una sobria quadratura architettonica formata da uno zoccolo, sopra al quale si appoggiano alcune lesene coronate da capitelli non appartenenti a nessuno degli ordini classici, essendo formati da foglie d’acanto e aquile. All’interno delle specchiature formate dalle lesene, si trovano quattro pitture di paesaggio dipinte, forse, da Giuseppe Manfredini (Lechi 1977, p. 312) e, al centro della parete sud, una finta decorazione a stucco composta da aquile, vasi, racemi e cornucopie ricolme di frutti. Completano la decorazione delle pareti due suprapporte che, simulando un altorilievo, mostrano una composizione formata da racemi di quercia e trofei d’arme.Infine, nella volta è stato dipinto un esile pergolato abbellito dalla presenza di diverse essenze floreali, farfalle e colombe.

Edoardo Lo Cicero

Sala 7 Dedalo e Icaro

Le pareti di questa sala, collegata alla galleria e posta a nord del grande salone delle feste, sono state decorate, verso la fine del XVIII secolo, con una sobria quadratura architettonica di gusto neoclassico. Essa presenta, partendo dal basso, un alto zoccolo, sopra al quale una serie regolare di lesene dal capitello composito scandisce e organizza in maniera regolare lo spazio. Le numerose specchiature, poste sia nel fusto delle lesene, sia nelle porzioni di parete delimitate da queste ultime, sono decorate con motivi vegetali e a candelabra, dorati o in finto stucco. Completano la decorazione delle pareti cinque sopraporte, ove sono presenti alcune scene figurate a monocromo legate alle vicende di Teseo e Arianna.

La volta esibisceuna quadratura architettonica molto simile alle pareti, composta da un’ordinata divisione in specchiature in stile neoclassico. Queste presentano le medesime decorazioni delle mura, con l’aggiunta, però, di quattro composizioni con trofei d’armi che, al loro interno, celano alcuni simboli araldici celebranti le unioni matrimoniali tra Giovan Battista Fè e Ludovica Ostiani (le due mani strette e le “ostie”, ovvero le porte con i battenti chiusi) e tra Marcantonio Fè d’Ostiani, loro primogenito, e Ippolita Martinengo Cesaresco del ramo dell’Aquilone (le due mani congiunte e l’aquila coronata), oltre al motto della famiglia (“Per la fede”) e il monogramma del committente Giovann Battista. Infine, le specchiature d’angolo presentano una decorazione a grottesche che, al centro, è arricchita da quattro medaglioni dove, in grisaille, sono raffigurati alcuni episodi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio (Giove e Io; Apollo e Dafne; Pan e Siringa; Ratto di Proserpina).

La parte più preziosa della sala, tuttavia, si trova all’interno di cinque finte cornici presenti sulla volta, una grande centrale e quattro, più piccole, poste a metà della lunghezza dei lati del soffitto. Al loro interno, infatti, Marco Marcola, che data (1791) e firma (MARCO MARCOLA VERONESE) il suo lavoro, dipinse le vicende di Dedalo e Icaro, che si ricollegano, seppur indirettamente, alle avventure cretesi di Teseo narrate nelle soprapporte. I momenti rappresentati dal pittore veronese sono, nei riquadri più piccoli, l’ideazione delle ali, la loro costruzione, la loro messa in opera da parte del mitico architetto eil triste compianto di quest’ultimo sul corpo del figlio morto, mentre, nel grande spazio al centro della volta, si trova l’episodio chiave della narrazione, ovvero la caduta di Icaro.

Edoardo Lo Cicero

Sala 6 Salone delle feste

Posto al centro dell’ala est del palazzo e raggiungibile attraverso la galleria, il grande salone da ballo è l’ambiente più riccamente decorato del palazzo e presenta numerosi e importanti interventi pittorici eseguiti da Marco Marcola negli anni Novanta del Settecento.

A interessare la totalità delle pareti vi è una quadratura architettonica di gusto classicista, che ben si adatta sia alle scene figurate di Marcola, che alla reale struttura della sala. Partendo dal basso, è possibile osservare uno zoccolo, sovrastato da un alto basamento ove si appoggiano diverse lesene poste parallelamente agli stipiti delle porte. Sopra queste ultime si trovano otto sovrapporte che, all’interno di cornici ottagonali, raffigurano in monocromo alcuni episodi legati alla disfatta di Troia, la fuga di Enea, Anchise e Ascanio e le loro successive peripezie. Diversa è la decorazione scelta per le due aperture centrali delle pareti est e ovest, ovvero quella che permette l’accesso al balcone visibile in facciata e quella principale posta al centro della galleria. Entrambe presentano un timpano triangolare sul quale si appoggiano un vaso e due satiri intenti a suonare flauti e lire. Ai fianchi di queste due aperture, poi, all’interno delle specchiature delimitate dalle lesene, trovano posto alcuni trofei d’armi e, ricollegandosi al tema scelto per i soprapporte, le finte statue di Priamo, Ecuba, Ettore e Andromaca.

Nelle pareti nord e sud, invece, per via dell’assenza di una porta centrale, è possibile osservare due grandi scene figurate realizzate da Marcola, il quale, sfruttando un effetto scenografico presente anche in altri palazzi bresciani, utilizza la sporgenza in avanti dello zoccolo della quadratura come una sorta di palcoscenico per i vari personaggi da lui rappresentati. Gli episodi scelti dal pittore veronese sono il Duello di Enea e Turno davanti a Lavinia e Latino  e quello in cui Enea e Didone offrono un sacrificio a Saturno, ricollegandosi ancora una volta, seppur in maniera abbastanza libera, alle vicende narrate da Virgilio nell’Eneide.

La scena del Sacrificio vede in primo piano un gruppo di cacciatori posti sulla sinistra, e, sulla destra, il gruppo di officianti che sta per immolare la giumenta. Dietro di loro, sopra a una breve scalinata ove è riportata l’iscrizione “Quid Vota Furentem Quid Delubra Iuvant?”, si trovano numerosi astanti, i sacerdoti, Didone ed Enea, i quali rivolgono i loro sguardi e le loro suppliche verso la statua di Saturno. Più sopra si trovano Iride e Giunone che, accompagnata dal pavone e seduta su di una nuvola, è posta non distante da un gruppo di putti in volo intenti a intrecciare un festone tra le colonne della quadratura.

Come fosse una scena teatrale, l’episodio del Duello tra Enea e Turno vede ai bordi del proscenio alcuni soldati e, in posizione poco più arretrata, lo scontro tra i due eroi. Defilato, sulla sinistra, vi è Evandro, padre di Pallante, il cui piede poggia su di un gradino ove è riportato in iscrizione il triste destino del figlio (“Evandre… Pheretro Pallante Reposto Procumbit Super Atque Heret Lacrimansque Gemensque”). A metà altezza, sopra a un palco improvvisato, sono visibili il re Latino, alcuni suoi soldati e la figlia Lavinia. Infine, in maniera simile alla scena del Sacrificio, la parte alta della decorazione è riservata alle divinità. Sono infatti visibili Venere, seduta sul suo carro, ed Ercole, intento a lottare contro la Discordia.

Concludono la decorazione delle pareti dieci finestre, poste nella parte alta delle mura in corrispondenza delle porte della sala. Queste sono abbellite da eleganti parapetti di ferro battuto e alcune di queste, che per via della loro posizione non possono realmente aprirsi verso le sale attigue, presentano una decorazione dipinta formata da spessi tendaggi verdi che lasciano intravedere ambienti immaginari che si dovrebbero sviluppare al di là della sala. Inoltre, nella finestra a sinistra della parete sud e quella destra della parete nord compaiono, rispettivamente, una dama elegantemente vestita e un uomo con un bastone da passeggio. Queste figure riprendono un artificio pittorico che ebbe larga fortuna in ambito bresciano, come dimostrano, ad esempio, le decorazioni presenti nella sala dell’Accademia degli Erranti o di palazzo già Appiani.

La decorazione della volta non prevede nessun tipo di quadratura architettonica, permettendo così a Marco Marcola di poter utilizzare tutto lo spazio a disposizione per raffigurare una complessa scena popolata da numerose divinità. Queste si trovano sedute su diverse nubi che, per via della loro disposizione, conferiscono alla composizione un movimento circolare, lasciando così al centro ampio spazio a un luminoso cielo che genera forti zone di contrasto tra luci e ombre.

Proprio nell’angolo più scuro della decorazione, ovvero l’angolo nord-est della volta, si trova Vulcano, ritratto mentre consegna le saette all’aquila di Giove. Procedendo in senso orario, s’incontrano Apollo e Diana e, poco più in basso nell’angolo sud-est, il gruppo di Bacco e Cerere, sopra al quale è possibile vedere Ganimede assieme ad una fanciulla alata. Continuando verso sinistra vi sono Saturno ed Eolo, raffigurato mentre viene sorretto da uno dei suoi numerosi figli. Sotto il dio dei venti vi è un gruppo composto dalle Parche, il Tempo e Atropo. Seguono poi Flora, la cui cornucopia è sorretta da Zefiro, Marte, Mercurio, Esculapio insieme alla figlia Igea, Ercole di fianco alla moglie Ebe e la Fama. Sulle ultime due nubi che, leggermente spostate verso il centro della volta, donano alla composizione un leggero moto ascensionale, vi sono, sulla prima, le Tre Grazie, Venere e Cupido, mentre sulla seconda siedono Minerva, Giunone e Giove. Infine, nel giovane in corazza, che bendato e in precario equilibrio su di una rupe versa acqua da due brocche, è possibile riconoscere il Fato (Cretella 2020, pp. 176-177).

Edoardo Lo Cicero

Sala 5 Alcova

Posta tra il salone delle feste e la saletta con Aurora e Titone, questo ambiente, al tempo utilizzato come alcova, conserva l’intervento decorativo più antico del palazzo. Esso, come riportato nella firma posta in posizione defilata all’interno della quadratura, fu eseguito da Giovanni Zanardi nel 1765 o 1766 su commissione dell’ “Illmo Revdmo Monsign Vescovo” (Boselli 1965, p. 51) Alessandro Fè. In tale occasione, l’artista di origini bolognesi immaginò per la sala una complessa quadratura architettonica di gusto rococò.

Essa coinvolge solamente il soffitto ed è composta da un basamento riccamente ornato con girali d’acanto, festoni dorati, mensole a ricciolo e cartouches. Sopra a questo si innalza un loggiato le cui colonne, composte da marmi preziosi e capitelli dorati, sorreggono una trabeazione mistilinea che, a sua volta, è sormontata da una balaustra dorata con balconi aggettanti.

La scena che popola la quadratura, invece, è più tarda, riconducibile al periodo in cui Giovan Battista Fè, figlio di Alessandro, volle abbellire il palazzo in occasione delle nozze tra il figlio Marcantonio Fè d’Ostiani e Ippolita Martinengo Cesaresco del ramo dell’Aquilone. Per tali lavori fu chiamato il pittore veronese Marco Marcola, il quale firmò la propria opera («MMF») sotto al cesto di fiori che sporge da una delle balconate. Il soggetto scelto per l’alcova fu il ratto di Flora da parte di Zefiro, raccontato da Marcola tramite la raffigurazione di due gruppi: il primo, posto leggermente a sinistra rispetto al centro della volta, mostra Zefiro nell’atto di rapire la futura dea della Primavera, mentre il secondo vede le ancelle di Flora scosse per la scomparsa della loro signora all’interno dello spazio illusorio della balconata dipinta da Zanardi. Concludono la decorazione venti e amorini che portano con loro simboli legati all’innamoramento, quali la torcia accesa, l’arco, le frecce o la corona d’alloro.

Edoardo Lo Cicero

Sala 4 Aurora e Titone

La decorazione di questa piccola sala, posta nell’angolo sud-est del palazzo, coinvolge solamente il soffitto. Su di esso, un anonimo quadraturista ha dipinto una balaustra circolare color oro di gusto rococò sorretta da doppie mensole a riccio e cartouche a conchiglia. Ad impreziosire la decorazione vi sono, infine, diversi festoni, armi, tamburi e stendardi.

Per affinità stilistiche (Cretella 2020, p. 170), è invece possibile assegnare a Marco Marcola la scena raffigurata all’interno dello spazio circolare delimitato dal parapetto della quadratura. Qui, su di un cielo ingombro di nubi, è raffigurato il mito di Aurora e Titone. La dea, identificabile anche grazie al carro che, poco più in basso, spunta tra le nubi, si trova esattamente al centro della volta e, mentre viene incoronata con una ghirlanda di fiori da una figura alata, la si vede intenta a protendersi verso il futuro sposo. Questo, colto mentre viene portato verso la sua amata da putti e fanciulle alate, è in parte dipinto sopra alla quadratura per aumentare l’effetto illusionistico della decorazione.

Edoardo Lo Cicero

Sala 3

La decorazione di questo ambiente, posto tra il vano dello scalone e la sala con Aurora e Titone, presenta una decorazione risalente al primo Ottocento. Essa coinvolge solamente la volta a schifo, sottolineandone con una sobria quadratura la struttura architettonica reale. La maggior parte dei motivi ornamentali, infatti, è stata posta all’interno di specchiature ed è composta da motivi vegetali, vasi e grottesche. Fanno eccezione i quattro medaglioni monocromi posti nelle specchiature angolari, raffiguranti la Gloria, la Liberalità, l’Onore e la Felicità.

Infine, al centro della volta si trova un grande riquadro dove, all’interno di un cielo ingombro di nuvole, si trovano la Nobiltà, la Ricchezza e tre putti, due dei quali, per enfatizzare l’effetto illusionistico della pittura, sono posti a metà tra lo spazio immaginario della raffigurazione e quello illusorio della quadratura architettonica.

Edoardo Lo Cicero

Galleria

La galleria del palazzo si sviluppa a nord del grande scalone e permette l’accesso a diversi ambienti del piano nobile. Essa è decorata con una sobria quadratura architettonica che sottolinea la struttura reale dell’ambiente.

Le pareti sono scandite da un ritmo regolare di coppie di lesene con capitello composito che dividono le aperture reali della galleria. Queste ultime, a loro volta, sono abbellite dalla presenza di cornici in finta pietra. Fa eccezione la porta centrale che permette l’accesso al salone delle feste, i cui stipiti, invece che essere dipinti, sono reali e presentano nel frontone una decorazione scolpita formata da un medaglione, forse raffigurante Atena, e diversi trofei d’arme.

Similmente, anche il soffitto è suddiviso in cinque sezioni da nervature che, poste in corrispondenza delle lesene, formano archi a tutto sesto. All’interno di questi scomparti si trovano quadrature architettoniche raffiguranti, alternativamente, volte a crociera e piccole cupole. Completano la decorazione del soffitto inserti in finto stucco di ispirazione vegetale.

Edoardo Lo Cicero

Sala 23

Posta nel corpo meridionale del palazzo, questa sala, definita da Fausto Lechi come una “bizzarria del Manfredini” (Lechi 1977, p. 138), è stata immaginata dall’artista come un berceau in stile neogotico.

Partendo dal basso, le pareti mostrano un parapetto sul quale si appoggiano coppie di piccole colonne che, a loro volta, reggono archi a sesto acuto. All’interno di questi ultimi si trovano alcune strutture traforate e, al di sotto, ghirlande e vasi di fiori. Nelle porzioni di muro chiuso che vengono a formarsi tra gli estradossi degli archi, infine, si trovano alcune decorazioni di ispirazione vegetale che simulano una tarsia lignea ottenuta con due essenze di legno diverse. Similmente, nella volta è stato dipinto un soffitto a cassettoni decorato con numerosi motivi naturali intarsiati.

Edoardo Lo Cicero