Una serie di abrasioni e scalfiture rende il soffitto (attribuito a Giambattista Mengardi e ad un pittore anonimo del terzo quarto del XVIII secolo) quasi illeggibile.
Un ovale contornato da una finta cornice in stucco bianco su fondo rosa apre il soffitto al centro della sala: una figura alata reca fiori in mano e presenta il capo cinto da un serto fiorito. Accanto, un putto regge un cesto colmo di fiori. Come osserva Tomezzoli (2018, p. 291), tutti questi particolari suggerirebbero di riconoscere in questa figura Flora, senonché i pipistrelli aleggianti facciano più pertinentemente pensare ad una Allegoria dell’Aurora.
Agli angoli, imponenti tritoni trattengono cavalli marini o stringono coralli e conchiglie e lungo i bordi si snodano finti bassorilievi che rimarcano il tema marino con cortei.
Emanuele Principi
Un pesante crollo del soffitto penalizza gli affreschi soffittali di Giambattista Mengardi nella Sala di Diana ed Endimione, situata al piano nobile.
Una finta cornice sagomata viene sagomata con motivi decorativi in stucco a volute, conchiglie e racemi vegetali. Al centro del soffitto campeggia una Diana avvolta in una veste color acquamarina e drappi gialli e vinaccia, colta mentre sorprende nel sonno Endimione dormente, adagiato su uno sperone roccioso.
Una fascia esterna simula sei bassorilievi bianchi su finte specchiature marmoree verdi o violacee, raffiguranti scene con satiri e putti che giocano travestendosi da fantasmi, soffiando bolle di sapone, suonando il tamburo, trattenendo uccellini al laccio, trascinandosi su un carretto. Su ciascun lato maggiore campeggia un medaglione con un profilo virile, mentre negli angoli finte cupolette sono decorate con vasi fantasiosi e coppie di sfingi alate gialle o rosate su fondo grigio.
Emanuele Principi
Gli affreschi della Sala del Vaso Cinese (ubicata al piano nobile), di un anonimo pittore del terzo quarto del XVIII secolo, consistono nelle pareti da uno scompartimento in finte cornici marmoree sagomate delimitanti specchiature in marmo grigio. Ogni sezione viene chiusa in alto da medaglioni raffiguranti busti di profilo o elementi ornamentali.
Sulla parete minore verso il cortile campeggia l’affresco che dà il nome alla sala: raffigura un vaso con decorazioni orientali dipinto in trompe l’oeil all’interno di una finta nicchia con cornice mistilinea. Nelle sovrapporte sono affrescati trofei militari a monocromo.
I bombardamenti del primo conflitto mondiale hanno danneggiato anche gli affreschi dell’ampio salone cui si accede dall’antisala al piano nobile: una vasta lacuna interessa la parte destra del soffitto, e altri crolli si registrano al centro in basso, sotto i vessilli e sotto il pavone.
Ancora una volta è Costantino Cedini ad occuparsi degli affreschi di questa importante ala del palazzo (sulle vicende attributive si veda Tomezzoli 2018, p. 287). Le pareti sono scandite da lesene ioniche molto simili a quelle già osservate nello scalone e nell’atrio, che ritmano la scansione di finestre reali e quelle finte loro contrapposte nel registro superiore del lato opposto. Una di esse appare spalancata e decorata da un tendaggio a strisce gialle e grigie; su un lato breve a un’altra finestra si affaccia una dama con un ventaglio in mano, ornata con una veste bianca e azzurra.
Sul soffitto campeggia il Trionfo di Ercole, con l’eroe assiso su un carro trainato da centauri, colto nel momento in cui la Virtù lo corona d’alloro. Al centro della scena una diretta allusione ad una delle più note fatiche di Ercole, l’idra di Lerna, perde la sua brutalità mentre un gruppo di putti vi si trastulla (Tomezzoli propone anche un’interpretazione alternativa, con un’allusione ai serpenti strangolati nella culla dall’eroe in fasce, Ivi p. 285).
Mentre in alto a destra la Fama diffonde la notizia dell’apoteosi, la scena viene completata da una serie di illustri personaggi, Divinità dell’Olimpo e personificazioni allegoriche. Da sinistra, sotto l’arco dello Zodiaco, si trova la Prudenza con lo specchio in mano, a seguire in basso a sinistra la Magnanimità (o Magnificenza) in veste giallo-oro esibisce una statuetta mentre poco sopra un putto regge una cornucopia. La accompagna forse Minerva, ammantata da un drappo blu. Nella parte destra si riconoscono Mercurio (con caduceo e petaso), Giunone (con il pavone ai suoi piedi), il volto di Marte cinto dall’elmo, Giove (con la sua aquila) e un Nettuno ormai scomparso, riconoscibile solo grazie al tridente. Sul lato maggiore, in corrispondenza delle costellazioni del Leone e della Vergine, è adagiata la raffigurazione di Cerere.
Emanuele Principi
Se le condizioni dell’affresco parietale sono discrete, eccezion fatta per uno strato di polvere che lo ricopre, peggiore appare lo stato del soffitto dell’antisala, che presenta crepe, ridipinture e cadute della pellicola pittorica. Una vasta lacuna spezza la parte sinistra dell’affresco, ma è presente una fotografia che documenta la situazione precedente al crollo.
Sulla parete di fronte all’andito di accesso si scorge un paggio moro, in veste rosa-arancio e colletto verde, che si affaccia da una finestra porgendo ad una dama una caffettiera. A destra, un tendaggio verde chiude la composizione.
Sul soffitto Costantino Cedini ha scelto di raffigurare una figura femminile coperta da una veste rosa e da un manto verde. Siede su una coltre di nuvole e regge un ramoscello d’ulivo con la sinistra, porgendone un secondo ad un personaggio muliebre seduto più in basso, colto di spalle, ammantato d’azzurro e stretto in vita da un corsetto bruno con maniche a sbuffo bianche: regge un fascio di frecce legate con la punta rivolta verso il basso, e il capo è cinto da un serto. Similmente a quanto avviene nello scalone, la scena è circoscritta da una cornice in stucco ad imitazione del marmo giallo e da una fascia più esterna in finto marmo grigio screziato.
Emanuele Principi
Gli affreschi che decorano lo scalone monumentale, opera del padovano Costantino Cedini, si presentano oggi in uno stato di conservazione pessimo. Come rileva Tomezzoli (2018, p. 281), ampie porzioni di intonaco sono crollate nelle fasce superiore e inferiore, nonché al centro in corrispondenza delle figure dei Giganti. È oggi assente anche la figura di Nettuno, e lacunose si presentano le finte specchiature marmoree in alto a destra. La superficie pittorica si presenta inoltre completamente alterata e incupita nella resa cromatica. Una fotografia già resa nota da Moschetti (1932) documenta l’affresco nella sua situazione antecedente i crolli più consistenti.
Entro una cornice mistilinea in stucco, stesa ad imitazione del marmo giallo, l’affresco vuole simulare la volta celeste, ospitando al suo interno Giove che fa precipitare i Giganti. Il Padre degli dei si situa in alto, a cavalcioni dell’aquila, nell’atto di scagliare fulmini con la mano sinistra contro i Giganti che precipitano nella parte inferiore della composizione, travolti da pesanti pietre. Un consesso di divinità costella la scena: si riconoscono Diana in veste gialla e Minerva cinta da un corsetto arancione, subito sotto Giove; più in basso Nettuno con un tridente, accompagnato da una figura femminile forse identificabile in Cerere, visto il suo ornamento con spighe. Mercurio, in volo, è ammantato di un drappo bianco.
Il resto del soffitto, al di fuori della figurazione, si presenta suddiviso in riquadri da fasce di finto marmo grigio screziato entro più larghe ripartizioni stese ad imitazione del marmo rosato, accordate lungo le pareti a paraste ioniche scandenti la superficie muraria. Completano la decorazione dell’ambiente due finestre simulate, una con una figura affacciata ormai illeggibile, forse di fattura novecentesca (Tomezzoli 2018, p. 284), e due putti marmorei posti sulla balaustra.
Emanuele Principi
Gli affreschi della Sala di Venere, ubicata al pianterreno del palazzo, sono attribuiti ad Andrea Urbani, che li ha realizzati attorno al nono decennio del XVIII secolo. Lo stato di conservazione è pessimo, con estese e grossolane ridipinture e un trasporto su tela del soffitto che ha comportato la suddivisione dell’opera in più parti e diffuse gore (Tomezzoli 2018, p. 292).
Le pareti della sala sono decorate da simulate specchiature marmoree, mentre cartouches e tralci monocromi arricchiscono le sovrapporte, dipinti entro finti coronamenti arcuati.
Al centro del soffitto, assisa su un podio di nuvole, una Venere seminuda si presenta cinta da una coroncina di perle, avvolta da un drappo svolazzante alle sue spalle: le due colombe in alto, trattenute da un amorino, fugano ogni dubbio sull’identificazione della dea. Un Cupido bendato la affianca sulla destra: ha affidato arco e faretra ad un compagno, pronto a porgergli una freccia con cui far scoccare nuovi sentimenti d’amore.
Una cornice ottagonale dall’andamento curvilineo avvolge la scena: ai lati si trovano motivi a monocromo con festoncini o figure femminili fantastiche a metà tra sirene e chimere. La soluzione angolare presenta finti balconi in prospettiva aperti sul cielo.
Emanuele Principi
L’ambiente al piano nobile, di pianta pressoché quadrata, è quasi interamente decorato ad affresco. Le tre pareti inferiori non occupate da finestre presentano episodi idillici, immersi in paesaggi d’arcadia. L’identificazione non è semplice a causa dello stato di conservazione pessimo, dovuto probabilmente ad affioramenti di umidità.
Sulla prima parete a sinistra, una fanciulla pare giocare con un amorino alato; nell’episodio successivo una figura femminile brinda con un giovane accompagnato da un cane; nell’ultimo riquadro invece la stessa giovane è immersa nella solitudine del paesaggio, col capo adorno di fiori, intenta a suonare un liuto. Sopra le due finestre che si aprono sulla medesima parete sono tesi finti festoni di fiori.
Il soffitto è aperto da un oculo, il cielo che si vede al di là è popolato da varie figure. Assisi su nuvole si trovano un personaggio femminile e un personaggio maschile, quest’ultimo certamente identificabile con Bacco. Nella fanciulla potrebbe essere invece riconosciuta Arianna, dal momento che in basso sono visibili due leopardi (animali trainanti il carro di Bacco nel viaggio in cui il dio trovò la fanciulla abbandonata sull’isola di Nasso). Il dio alza il calice in direzione della fanciulla, reggendo il bastone con rami di pampini intrecciati. Accanto, due putti alati sollevano un vaso e un cesto ricolmo di grappoli; nel frattempo, più in alto, un terzo putto fa ricadere rose sulla coppia.
Nella stanza di Bacco e Arianna si può quasi certamente riconoscere il maestro attivo nella Stanza dell’Imeneo, grazie all’analoga chiusura della forma con una grafia secca e incisiva, unita ad alcune ingenuità disegnative e i medesimi tipi fisiognomici dai volti larghi e ovali (cfr. Ton 2018, pp. 337-338).
Emanuele Principi
Alle estremità del soffitto della stanza, ubicata al piano nobile, si trovano volute a bassorilievo monocrome, realizzate in finta pietra. Avvicinandosi al centro, lungo il fregio che corre lungo i lati del soffitto, si trova un motivo di volute a bassorilievo policromo su fondo bianco, ripreso dal grande clipeo centrale, mentre negli ovali situati ai lati dello stesso trovano posto le figure a monocromo su fondo scuro di Giunone e Diana con i loro tipici attributi (pavone, falce lunare, faretra). Al centro il grande clipeo presenta, tutt’attorno all’andamento circolare della cornice, gli stessi intrecci già visti lungo il fregio.
Emanuele Principi
La stanza si trova al piano nobile del palazzo. Lungo i lati del soffitto corre un fregio a riquadri rettangolari con volute floreali policrome e, alternativamente, candelabre bianche su fondo bruno. Oltre alla grande apertura centrale sono presenti aperture minori, ovali e circolari, disposte lungo gli angoli e l’asse centrale del soffitto. Qui trovano posto simboli di svariato genere, resi a monocromo giallo oro, contro il medesimo sfondo azzurro dell’apertura maggiore (per una puntuale elencazione si rimanda a Ton 2018, p. 334).
All’interno dell’apertura centrale (ricavata da una cornice di profilo mistilineo e vari elementi d’ornato) si staglia un giovane alato, seminudo, panneggiato con un tessuto color rosso vinaccia e cinto sul capo da una corona di fiori. Con la mano destra tiene una grande fiaccola rivolta verso l’alto, con la sinistra un velo bianco: si tratta con tutta probabilità della figura di Imeneo, a rappresentare un’Allegoria del Matrimonio. Sulla destra, Amore con arco e faretra mostra una freccia; poco a sinistra, assise su nuvole, si trovano le Grazie. In basso si riconoscono altri tre amorini, uno dei quali regge gli stemmi Dondi dall’Orologio (arma d’argento alla banda d’azzurro doppio merlata; cfr. Spreti 1928-1936, II, 1929, p. 623) e Marcello (arma azzurra alla banda ondata d’oro; cfr. Ivi, IV, 1931, p. 351).
Emanuele Principi