Sala 5 Trionfo

Al piano nobile dell’edificio, in cima allo scalone d’onore, si trova sulla destra la prima saletta che affaccia su corso Matteotti. Il soffitto presenta una complessa quadratura illusionistica dipinta, formata da un parapetto e da basamenti in pietra sopra cui si elevano colonne in marmo rosato con volute che sorreggono una trabeazione dal profilo mistilineo sui toni del giallo tenue, decorata da teste umane e festoni. In corrispondenza dei quattro angoli, sotto le colonne, si formano delle nicchie che ospitano coppie di putti in monocromo grigio sorreggenti cartouches con monocromi rosa, di cui le raffigurazioni non sono più distinguibili a causa del cattivo stato di conservazione. Una sorta di balaustra giallo-oro, con inserti in finto marmo rosa, mostra una metamorfosi di figure umane in motivi decorativi a ricciolo e sopra di essa poggiano corbeilles di fiori e un drappo azzurro. Sui quattro lati sopra il cornicione invece vi sono strutture in pietra con volute o conchiglie, che contengono composizioni di fiori e frutti sopra cui putti giocosi sono rappresentati di tergo, in volo avvolti in drappi o nascosti tra le ghirlande. La complessa architettura culmina in alto con spiragli di cielo agli angoli e uno squarcio centrale, dove è rappresentata l’ascesa di un giovane seminudo accompagnato da Minerva verso Ercole e affiancato da una vittoria alata che solleva una corona di lauro. Il ragazzo è trattenuto a sinistra da Venere, seduta di schiena e affiancata da un putto con la colomba bianca. Altre tre figure femminili gesticolanti e seminude, che potrebbero essere le tre Grazie ma che non presentano attributi identificativi, compaiono nella parte sinistra dell’affresco, sedute su una nube in conversazione, mentre in alto nel cielo alcuni putti gettano delle rose. La posa del personaggio in ascesa a braccia aperte, sollevato da Minerva, ricorda il gruppo centrale dell’affresco seicentesco eseguito da Pietro da Cortona nella sala di Venere di Palazzo Pitti a Firenze: è riproposta infatti la composizione e lo stesso tema del giovane, che nell’affresco fiorentino ritrae il committente Ferdinando II de Medici adolescente, allontanato dai vizi e dalle passioni personificati dalla dea della bellezza e dell’amore e accompagnato verso Ercole, rappresentante della vita virtuosa e della fortezza/ragione. Se Lechi identificava nel dipinto bresciano il Trionfo di Ganimede (Lechi 1976, p. 200), Loda ha invece proposto l’apoteosi di un Martinengo o di un personaggio storico-mitologico non identificato (Loda in Massa 2003, p. 37). Mancando qualsiasi richiamo al mito di Ganimede, tradizionalmente rappresentato insieme a Giove come divinità o nelle sembianze dell’aquila che lo rapì, oppure con la coppa che rimanda al suo incarico di coppiere degli dei, ritengo sia più plausibile l’ipotesi avanzata da Loda, considerando anche il modello seicentesco. Ad eseguire la figurazione potrebbe essere intervenuto un pittore della medesima bottega bolognese che ha lavorato nelle sale al pian terreno, mentre per l’architettura dipinta è stato proposto il nome dei quadraturisti Natali (Loda in Massa 2003, pp. 37-38).

Sara Parisio

Sala 4 La Concordia abbatte la Discordia

Questa sala, che si trova al piano terra del corpo meridionale e a cui si accede dalla sala 3, si caratterizza per un medaglione centrale con incorniciatura in stucco dorato in cui è rappresentata la scena allegorica della Concordia che abbatte la Discordia. La prima, dall’alto della nube su cui è seduta, tiene un mazzo di verghe e indica i tre putti in volo alla sua destra: il primo spezza un ramo, il secondo tiene le due parti di un ramoscello già spezzato, il terzo regge un ramo fiorito e scaccia la figura in basso che possiamo identificare nella Discordia descritta da Cesare Ripa, in una sequenza di gesti che indicano progressivamente la sua sconfitta. La donna avvolta da una veste gialla, che cade in basso in modo scomposto, con il viso truce e i capelli scompigliati da cui spuntano alcuni serpenti, tiene sollevata con la mano destra una fiaccola e con la sinistra un mantice. Ad accompagnarla c’è un putto accigliato che regge un rotolo di fogli. Il resto del soffitto è ornato da decorazioni in stucco su fondo bianco affini a quelle dell’ambiente adiacente, così come somigliante dal punto di vista stilistico è il dipinto centrale. Tali similitudini portano a pensare che alla volta lavorò un artista bolognese facente parte della stemma maestranza che operò a inizio Settecento anche nella sala 3 e in altri ambienti del palazzo, della quale si segnalano Luca Bistega, Giacomo Antonio Boni e Ferdinando del Cairo. (Loda in Massa 2003, pp. 34, 50)

Sara Parisio

Alcova

Ad ovest dello scalone d’onore è situata l’alcova, decorata con raffinati motivi vegetali a stucco secondo un elegante gusto neoclassico. Le pareti sono ornate da medaglie raffiguranti attività agricole, la principale fonte economica della famiglia Ugoni, cui sono collegate anche due cornici che ritraggono la fertilità della terra (una cornucopia ricca di fiori e frutti e una piccola pala per lavorare la terra) e gli strumenti da lavoro (la falce, il rastrello, la zappa incrociati a spighe di grano), oltre ai sovrapporta dedicati a tematiche venatorie (la caccia con i cani e la caccia agli uccelli).
Sui lati brevi spiccano le panoplie d’armi, all’interno delle quali si inseriscono da un lato lo stemma degli Ugoni e dall’altro, dirimpetto, l’acronimo S.P.Q.R., che sottolinea il costante richiamo alla classicità dell’arte neoclassica. La decorazione floreale delle pareti prosegue sul soffitto con un raffinato intreccio di fiori e ramificazioni vegetali.

 

Maddalena Oldrizzi

Sala 3 Allegoria della Nobiltà di Casa Martinengo

Il primo ambiente al pianterreno dell’ala sud con una decorazione pittorica di rilievo è una grande sala rettangolare coperta da una volta a schifo, che si raggiunge dopo aver attraversato un corridoio che corre parallelo allo scalone d’onore. La parte centrale piana è occupata da un medaglione con cornice mistilinea in stucco dorato e l’Allegoria della Nobiltà di Casa Martinengo. (Lechi 1976, p. 202; Loda in Massa 2003, p. 49) In un cielo nuvoloso da cui spunta un timido sole sono rappresentate figure allegoriche femminili. La Nobiltà campeggia al centro, con un’asta nella mano destra e la statuetta d’oro di Minerva nella sinistra, seduta su una nube compatta sorretta da una donna in abiti regali con un diadema che tiene uno scettro e una corona. Attorno vi sono quattro fanciulle che potrebbero rappresentare le Virtù Cardinali, affini alla descrizione di Cesare Ripa: da sinistra la Prudenza, che tiene in mano uno specchio e un animale dalle sembianze di un serpente avvolto al braccio; la Giustizia, vestita di bianco, che regge una bilancia dorata a due piatti e una spada; la Temperanza a destra, che tiene in mano due freni e l’ultima; la Fortezza, dietro la nube centrale, che indossa un elmo e tiene una colonna. Sopra la Nobiltà vola l’aquila rossa dei Martinengo con le ali spiegate, che regge con gli artigli uno scudo con il campo diviso in due parti raffiguranti dei testicoli e una gemella terminante alle estremità nelle fauci di due teste di leone, elementi dello stemma di Bartolomeo Colleoni concessi dal condottiero che morì senza eredi e che vennero inquartati nell’insegna Martinengo-Colleoni. Il rapace viene incoronato da un putto come esaltazione delle nobili origini della famiglia: in alto si trovano tre amorini in cerchio che reggono ciascuno un rotolo su cui Loda ha individuato lo stemma del Leone di San Marco, la Croce argentea dell’ordine di san Maurizio e un Giglio d’oro, mentre un altro putto suona la tromba. Ai lati della figurazione centrale il soffitto è diviso in riquadri e spicchi impreziositi da eleganti stucchi dorati con motivi vegetali stilizzati su fondo bianco. Gli affreschi, in cui si riconosce un classicismo di stampo bolognese, sono stati probabilmente realizzati a inizio Settecento da un artista di un’équipe che lavorò anche ad altre sale del palazzo, gruppo di cui fecero parte Luca Bistega, Giacomo Antonio Boni e Ferdinando del Cairo (Loda in Massa 2003, pp. 34, 49-50).

Sara Parisio

Sala 2 Trionfo di Giove, Giunone e Venere

Al piano terra dell’ala settentrionale si trova questa stanza, a cui si accede dalla sala 1, che Lechi ricorda adibita a sala da pranzo, come suggerisce anche il soggetto della rappresentazione. L’ambiente si distingue infatti per il soffitto dominato dal Trionfo di Giove, Giunone e Venere, in cui Ebe viene presentata alle tre divinità sedute su una nube. La coppiera degli dei, ritratta con il tradizionale attributo della coppa in mano e accompagnata da due fanciulli, sta per essere incoronata dalla Fama, una donna alata avvolta in un manto azzurro. Il dipinto è inquadrato da una cornice mistilinea in stucco bianco e dorato con un motivo decorativo a treccia e da affreschi con riquadri contenenti elementi floreali, conchiglie, festoni, motivi a candelabra. La scena centrale si avvicina ai modi compositivi e figurativi di Francesco Fontebasso e potrebbe essere stato eseguito tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta del Settecento (Massa 2003, pp. 26-27; Loda in Massa 2003, pp. 35-37).

Sara Parisio

Sala 1 Trionfo della personificazione allegorica del Giorno

La sala, che si trova al piano terra dell’ala settentrionale a fianco delle scale e affaccia sulla corte interna, esibisce una volta a schifo con un medaglione centrale con cornice mistilinea dedicato al Trionfo della personificazione allegorica del Giorno. Esso è raffigurato in basso come un giovane alato in piedi che solleva una fiaccola, cinto da un manto rosso e con una stella sul capo. In secondo piano, sul carro trainato da cavalli bianchi con il sole, siede Aurora a cui viene posta sul capo una corona di fiori da due putti. Una figura femminile tiene le briglie dei destrieri e accanto a lei un’altra fanciulla regge un ramoscello verde. Dal lato opposto due putti giocano fra loro. Pur essendo stato visibilmente ridipinto, si rintracciano nelle pose e nelle fisionomie di alcuni personaggi caratteri riconducibili ai modi del veneziano Francesco Fontebasso, che potrebbe avervi lavorato a cavallo tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta del Settecento, in contemporanea con il suo intervento nell’adiacente Oratorio di San Carlino (Massa 2003, pp. 26-27; Loda in Massa 2003, p. 37). Il resto del soffitto è dipinto con riquadri in finto stucco contenenti elementi floreali.

Sara Parisio

Sala 4 La Gloria incorona la Virtù

La stanza che si affaccia sulla piazza esibisce una volta affrescata con un’architettura rococò scenografica, che si apre nel mezzo in un medaglione ovoidale con un finto cielo. Sopra una modanatura a kyma ionico si imposta una struttura dipinta con mensole a modiglioni, sorreggenti colonne tortili binate in marmo con un capitello composito dorato a volute e teste. Queste sostengono una trabeazione di color rosa decorata con un kyma ionico sotto cui, tra le coppie di colonne in corrispondenza dei quattro lati, si aprono edicole con parapetto e scenografici tendaggi rossi. Appoggiati sulle balaustre vi sono nature morte composte da oggetti che Cesare Ripa riconduce alle allegorie delle Arti: su una balaustra compare un dipinto raffigurante rovine  immerse in paesaggio e una tavolozza con pennelli riconducibili alla Pittura, un’altra ospita uno spartito e uno strumento musicale a corde legati alla Musica, una testa in marmo e scalpelli rimandano invece alla Scultura e un cigno, una lira, un libro e una corona di lauro sono gli attributi della Poesia. Accanto alle edicole si impostano volute, mascheroni e medaglioni, coperti da drappi variopinti su cui compaiono alcuni animali: un gallo (che Ripa avvicina all’allegoria dello Studio) e una faina che tra le fauci tiene un uccello, probabilmente una pernice bianca simboleggiante il male, la lussuria. Vi sono poi ghirlande di fiori e altri simboli legati alle Arti liberali: la tavola e il nastro con la scritta «PAR ET IMPAR» sono infatti riconducibili all’Aritmetica, mentre la raspa di ferro, la sfera con i segni zodiacali e il cartiglio con l’iscrizione parzialmente visibile «VOX LITTERATA ET ARTICULATA DEBITO MODO PRONUNCIATA» si riferiscono alla Grammatica. La lima accanto a una corona d’oro e un nastro con il motto «DETRAHIT ATQUE POLIT» rimandano all’Accademia mentre un compasso, un mappamondo, un libro, un foglio con misure e figure indicano la Matematica. Ai quattro angoli si collocano ovali con paesaggi in monocromo rosa incorniciati da volute sorreggenti vasi dorati con ghirlande di fiori. L’architettura illusionistica prosegue in profondità sui toni del rosa e del grigio con arcate aperte sul cielo, nel mezzo del quale compaiono tre figure femminili alate che possono essere identificate nella Gloria con un’asta e una corona, nella Virtù accanto a lei con un rametto di quercia tra le mani e nella Fama al vertice, a seno scoperto con due trombe.

Sara Parisio

Sala 3 Quadratura

La sala al piano nobile, rivolta verso la piazza, si caratterizza per un soffitto decorato in stile neoclassico con riquadri contenenti elementi decorativi fitomorfi: quello centrale contiene un ovale e vari riquadri con racemi dipinti in monocromo grigio e dorato su sfondi sui toni del grigio, verde o ocra. Ai quattro lati del medaglione centrale sono rappresentate panoplie di strumenti musicali a coppie, mentre all’interno dei riquadri angolari figurano ovali con vasi a monocromo su fondo marrone, affiancati da una coppia di grifoni, da racemi d’acanto e fiori. Nel sovrapporta è dipinto un riquadro in finta pietra che reca al centro un motivo decorativo a foglie d’acanto e palme su fondo rosso.

Sara Parisio

Sala 2 La Virtù caccia il Vizio

Al piano nobile, il primo ambiente in cima allo scalone è una sala rivolta verso il cortile. La volta è affrescata con una finta architettura rococò a più livelli: il primo, sui toni del grigio, presenta un profilo spezzato e in prossimità degli angoli sorregge vasi dorati di fiori. In corrispondenza dei due lati minori assume la forma di cartigli con festoni di foglie, volute, riccioli, conchiglie, mentre nei due lati maggiori ospita panoplie d’armi con scudo, lance, picche, fasci di verghe e bandiere (di cui una con il motivo a fasce verticali oro e rosso dello stemma della famiglia). Sopra di esso si imposta un altro livello sui toni dell’ocra, con mensoloni decorati con modiglioni alternati a fiori e inserti in finto marmo rosso. Essi sostengono degli archi ribassati con cartouches sormontati da una corona con le iniziali “A P”, che potrebbero riferirsi al committente sebbene non sia stato possibile sciogliere l’acronimo. Ad un livello superiore la quadratura assume i toni del rosa e si apre in oculi con balaustre ad aperture circolari. Al centro del soffitto lo sfondato ospita la scena principale in un medaglione il cui profilo è decorato con un motivo dentellato e un festone scolpito, arricchito da quattro cartigli sporgenti con fiori variopinti. Nel finto cielo illuminato da una luce dorata compare la Virtù, una giovane donna alata che scaccia con la lancia un vecchio nudo, identificabile come l’Allegoria del Vizio con gli attributi della tromba, la lira, lo specchio, lo spartito musicale e le carte da gioco, appoggiati su compatte nuvole grigie. I due personaggi sono accompagnati da alcuni putti con ali di farfalla: un amorino che regge un fiasco, avvicinabile al Vizio e due puttini in volo, nella scia luminosa della Virtù, che reggono un libro aperto e una corona intrecciata.

Sara Parisio

Scalone

L’arco di accesso allo scalone, che consente di salire ai piani superiori, riporta lo stemma circondato da foglie d’acanto della famiglia Appiani, divenuta proprietaria dell’immobile nella prima metà dell’Ottocento. Lo scalone è a due rampe di diversa lunghezza con pianerottolo intermedio: nella parte alta del vano-scala è dipinto un motivo a dentelli sopra un fregio continuo a monocromo, con armature, strumenti, piccoli modiglioni a volute a finto rilievo e nel mezzo una corona con la croce imperiale. Il soffitto ospita lo stemma della famiglia Palazzi a bande verticali rosse su fondo oro incorniciato da foglie d’acanto, posizionato al centro di un riquadro mistilineo dipinto.

Sara Parisio