La sala si trova a est dello scalone d’onore, posta al centro di una sequenza di salette decorate secondo un delicato gusto neoclassico. L’ambiente è suddiviso al proprio interno da una vetrata che crea un jardin d’hiver. Le pareti del vano più ampio sono scandite verticalmente da raffinate cornici neoclassiche entro cui si inseriscono due sovrapporta decorati da paesaggi bucolici. Il soffitto, inquadrato in sottili cornici neoclassiche raffiguranti cigni ed elmi antichi, è ornato da quattro piccole edicole dipinte in cui si inseriscono raffigurazioni delle quattro stagioni, unite tra loro da decorazioni zoomorfe. La parte più piccola della stanza, dedicata alla serra, è decorata da un trompe l’oeil raffigurante un porticato esterno, attraverso cui si osserva un arioso paesaggio naturale.
Maddalena Oldrizzi
Accedendo alle sale a destra dell’androne, il primo ambiente a fianco dello scalone verso la piazza mostra una volta a padiglione lunettata che Lechi riferisce realizzata intorno al 1750 (Lechi 1974, p. 48), con un riquadro centrale polilobato dipinto a finta cornice a perline, contenente rosette disposte in modo concentrico su fondo verde. Tutto attorno vi sono motivi rocaille sui toni del rosa e del grigio, che seguono l’andamento del soffitto, e composizioni floreali. Le lunette sono ornate con motivi vegetali stilizzati e conchiglie su fondo giallo. Le pareti della sala ospitano quattro paesaggi con personaggi in abiti settecenteschi entro cornici rettangolari a perline dipinte, tre nei sovrapporta e uno sul camino.
Sara Parisio
La volta della stanza che chiude la galleria richiama lo stesso artificio prospettico utilizzato per tutti gli ambienti del palazzo, e per quanto riguarda la quadratura è da considerarsi tardo seicentesca. La struttura architettonica dipinta presenta aperture con parapetto al livello più basso, chiuse ai lati da colonne binate in finto marmo con capitello corinzio sostenute da mensoloni e basamenti. L’oculo centrale a fondo azzurro, racchiuso in un finto soffitto cassettonato, ospita una mano che sorregge una bilancia a piatti, sui quali è dipinta l’aquila Martinengo e su cui poggiano armi e libri, con l’aggiunta dell’iscrizione “SINE LEGE NUMQUAM” in cima, che rimanda alla giustizia. Come per la sala contigua, gli elementi che richiamano questo tema sembrano inseriti in un momento posteriore rispetto all’esecuzione della quadratura, verosimilmente in occasione del cambio di destinazione d’uso dell’edificio, che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento divenne sede di organi giudiziari.
Sara Parisio
L’ambiente di snodo tra l’enfilade di sale parallele alla galleria e la sequenza di stanze dell’ala orientale presenta un soffitto decorato con una solida quadratura architettonica: sopra il cornicione si sviluppano balconcini con aperture, affiancati da mensoloni a volute che reggono il livello superiore in cui si apre un oculo centrale dalla cornice mistilinea verde abbellita da riccioli di colore giallo-arancio. Nel mezzo appare una mano che impugna una spada e un nastro con il motto “SICUT CONGRUIT”. Mentre la quadratura si può considerare contemporanea alle prospettive eseguite nelle altre sale, gli elementi del dipinto centrale su fondo azzurro e le pitture inserite nei quattro cartigli laterali a volute paiono aggiunti in seguito (la facciata del palazzo, un archipenzolo che Cesare Ripa collega all’allegoria del Giudizio ma che potrebbe altresì richiamare la massoneria, una palma e un paesaggio fluviale in pessimo stato di conservazione).
Sara Parisio
La sala è l’ultimo ambiente dell’enfilade parallela alla galleria e presenta nel soffitto una quadratura prospettica tardo seicentesca con un falso piano superiore sostenuto da colonne in marmo, a loro volta sormontate da un capitello, che affiancano una balconata continua sporgente. Le finestre della parete che guarda verso Via San Martino della Battaglia mostrano il cielo azzurro mentre le altre aperture hanno fondo scuro: le colonne mostrano ombre portate dipinte che riproducono realisticamente le condizioni di luce seguendo la disposizione delle portefinestre. La parte piana del soffitto è dipinta con un medaglione a cassettoni laterali e decorazioni violacee e vi campeggia la Verginità accompagnata dall’unicorno, secondo la descrizione di Cesare Ripa. La fanciulla indica all’animale imbizzarrito la figura che le sta accanto, ossia la Temperanza d’amore con ramo di palma e freno, mentre un putto in volo solleva il freno ed altri due amorini sono indaffarati sul lato destro della scena. Le figure rivelano analogie stilistiche con i personaggi degli altri ambienti e potrebbero essere ricondotti allo stesso pittore, anche se questo affresco fu quasi certamente sottoposto a un intervento di restauro che lo ha modificato con ridipinture.
Sara Parisio
La volta di questa stanza, la prima a sinistra della galleria, è occupata da un’architettura illusiva che simula un piano superiore con colonne in finto marmo che sorreggono archi e al centro una sorta di soffitto cassettonato poligonale con cartigli. Sopra il cornicione si aprono finestre con tendaggi rossi e balaustre con sottili colonnine da cui si affacciano alcuni personaggi, seguendo la medesima invenzione della galleria. Dai parapetti si sporge un uomo vestito con abiti dell’epoca, l’Allegoria della Vigilanza e, dal lato opposto, un uomo barbuto e anziano che potrebbe ritrarre il Sonno, anche se lo stato di conservazione di questa zona dell’affresco non permette di identificare con certezza la figura e i suoi attributi. In corrispondenza della parete fronte strada le finte finestre dipinte sul soffitto creano l’illusione di aprirsi verso il cielo azzurro, così come gli oculi in corrispondenza dei balconcini, che il quadraturista realizza con un attento studio delle luci e un chiaroscuro che restituisce con la pittura le ombre portate reali delle rientranze dei balconcini. Nello sfondato al centro campeggiano le figure della Verità, dell’Eloquenza e un putto con saette, seduti su una nuvola sostenuta dal soffio di tre venti insieme ad altri amorini dipinti in uno squarcio luminoso. Altre decorazioni pittoriche si trovano sulle pareti, ovvero nei sovrapporta dipinti con paesaggi. Il soffitto venne plausibilmente eseguito negli stessi anni della galleria, poiché si riscontra una similarità nelle quadrature e sembra si possa riconoscere la stessa mano del pittore che eseguì le scene mitologiche. Lechi attribuisce la decorazione di questo ambiente e delle prime tre sale della facciata al pittore Faustinelli, il cui nome e la data 1676 egli lesse nella seconda stanza (Lechi 1976, p. 129). Il nome di un certo pittore “Michiel Faustinelli” compare anche nei documenti relativi alla decorazione degli ambienti interni di Palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza negli anni 1686-1689, affreschi andati perduti o coperti dalla decorazione settecentesca (in Massa 2003, pp. 23, 73-74). Non potendo confrontare i due interventi, si può solo ipotizzare si tratti dello stesso artista.
Sara Parisio
Attraverso il vano dello scalone, decorato lungo le pareti con panoplie, vasi di fiori e colonne, e sulla volta con un finto soffitto a oculi aperti sul cielo, si giunge al pianerottolo che a nord conduce al salone da ballo e a sud consente l’ingresso nella lunga galleria del piano nobile. La volta a botte esibisce architetture illusionistiche dipinte nel 1677 dal quadraturista Pietro Antonio Sorisene, come attestano la firma e la data riportate all’interno di due cartigli nella parte centrale del soffitto. La struttura a finta prospettiva con ornamenti a motivi vegetali, festoni e marmi policromi si sviluppa sopra un cornicione in stucco con modiglioni e rosette, aprendosi in un illusivo matroneo con archi ribassati che ospita le nove Muse e putti affacciati alle balaustre. Mentre in cima alla galleria compare Urania, riconoscibile dal manto blu stellato e dall’astrolabio/sfera armillare che tiene in mano, dal lato opposto Apollo chiude la serie delle divinità presentandosi affacciato al parapetto al termine del corridoio con la cetra e il manto decorato da pampini. A dominare la parte mediana è un finto soffitto a cassettoni sui toni dell’ocra e del viola con decorazioni vegetali e cartigli, in cui si aprono tre medaglioni figurati ospitanti scene mitologiche volte alla celebrazione della committenza, opera di un pittore le cui figure si caratterizzano per i corpi robusti e i volti pieni e tondeggianti. Nelle tre finte aperture con cielo la famiglia Martinengo è rappresentata da una figura femminile che può considerarsi un’Allegoria del casato, richiamata anche dal ricorrente simbolo dell’aquila rossa su fondo dorato che costituisce lo stemma Martinengo. Ai riquadri figurati si alternano illusive cupolette circolari in pietra con lanterna, riccamente decorate, e lunette con cartigli dipinti a figure femminili in monocromo rosa, che dagli attributi si possono identificare come le quattro Stagioni collocate a coppie una di fronte all’altra (Autunno e Inverno, Primavera ed Estate). Nel primo medaglione compare l’Allegoria già nominata, una donna vestita di abito giallo e manto rosso colta nell’atto di indicare una pagina del libro che le porge la figura nuda di schiena, forse la Storia. A queste due figure seguono Mercurio e Minerva, i cui gesti si concatenano fino portare l’attenzione su Giunone al culmine, e due putti, uno nella parte inferiore reggente lo scudo con l’aquila e un altro in volo che tiene un nastro. Lo squarcio di cielo del medaglione mediano, mancante ora di una porzione in basso al margine della quale è visibile il piedino di un putto ma che compare ancora integro in una fotografia dell’Archivio dei Civici Musei di Brescia, accoglie al centro Giove che incorona una figura femminile. Lechi la identificava come la Fama (Lechi 1976, p. 129), ma più probabilmente è la stessa giovane donna della scena precedente con le medesime vesti, accompagnata dalla Giustizia e dalla Vittoria. Quest’ultima sorregge lo scudo a un putto che in cielo vola tenendo un’asta, accompagnato da un altro amorino che solleva una palma e un ramo d’ulivo. Il tema encomiastico ritorna anche nel terzo e ultimo medaglione, che ospita un gruppo compatto in cui si riconosce la figura della giovane nelle vesti di guerriera con la spada e lo scudo recante l’aquila, illuminata dall’alto. Ella affronta l’Idra dalle sette teste, raffigurata sanguinante e decapitata, sotto la protezione di Minerva e di Marte che le stanno a fianco e del Padre degli dei, che sorveglia dall’alto di una nuvola. La presenza del mostro mitologico potrebbe rappresentare un richiamo a una delle dodici fatiche di Ercole, divinità frequentemente rappresentata nei cicli pittorici dei palazzi nobiliari bresciani, ed è forse legata alla volontà di avvicinare la stirpe a quella tradizione erudita che riconosceva nell’eroe il mitico fondatore della città.
Sara Parisio
Posta nel corpo di fabbrica orientale, questa alcova e il suo piccolo vestibolo furono decorati da un artista tuttora ignoto nei primi anni dell’Ottocento (Lechi 1977, p. 32) durante una fase di ammodernamento del palazzo al nuovo gusto neoclassico (Boselli 1964, p. 28; Lechi 1977, p.32). Fu durante questa campagna decorativa che, probabilmente, si persero le quadrature delle due camere ove, come ci testimonia egli stesso nella sua autobiografia, lavorò Giovanni Zanardi nel 1743 (Boselli 1964, p.51.)
L’ornamentazione di questo ambiente a pianta rettangolare presenta un finto soffitto a cassettoni organizzato in otto traversi che delimitano nove lacunari. Di questi, entro quelli angolari e di forma quadrata trovano posto le raffigurazioni delle Quattro stagioni, rappresentate tramite busti all’antica circondati da una corona di spighe (estate), di melograni (autunno), rovi (inverno) e fiori (primavera).Nei cassettoni laterali,invece, è dipinto più volte lo stesso motivo a grottesche composta da un vaso, due volatili e motivi vegetali. Oltre a questo tema, i due lacunari sui lati lunghi presentano due piccole cornici ottagonali, al cui interno sono raffigurate vedute bucoliche. Il grande cassettone centrale contiene al centro un grande medaglione ovale dove è rappresentato Psiche che scopre Amore. Negli spazi lasciati liberi dalla cornice, trovano posto due composizioni con nastri che tengono uniti rami d’alloro e, nel primo, strumenti musicali, mentre nel secondo armi.
I temi musicali e militari ritornano anche nei soprapporta scolpiti a bassorilievo che interrompono la fascia continua dipinta nella parte alta delle pareti, la quale a sua volta è decorata con un motivo a rami di vite che ricompare anche nelle travi del finto motivo a cassettoni.
Edoardo Lo Cicero
Il piccolo vestibolo dell’alcova fu realizzato dallo stesso ignoto artista già attivo nella sala adiacente nei primi anni dell’Ottocento (Lechi 1977, p.32).La decorazione non coinvolge solo il soffitto ma anche le pareti, che sono organizzate in diverse specchiature: quelle poste negli angoli presentano un motivo a candelabra con foglie d’acanto, vasi, nastri, piccoli medaglioni ottagonali entro cui sono raffigurati episodi mitologici e, alla base, delle piccole edicole all’interno delle quali sono posti degli amorini in pose diverse. Completano l’ornamentazione delle pareti due soprapporta, uno dipinto con una ninfa distesa su di un fianco entro un’elaborata cornice in finta pietra, mentre l’altro scolpito in bassorilievo con armi e racemi vegetali legati assieme da nastri.
Similmente alle pareti, la decorazione del soffitto prevede una divisione in specchiature. La più grande di queste è posta al centro e vede raffigurati, entro due cornici incrociate tra loro a quarantacinque gradi, Enea, Anchise e Ascanio. Sui lati, poi, vi sono quattro spechiature più piccole abbellite al loro interno da motivi vegetali e cammei. Infine, negli angoli vi sono quattro ovali entro cui sono raffigurate delle menadi danzanti incorniciate da una complessa cornice in finto stucco giocata su diversi motivi vegetali.
Edoardo Lo Cicero
Posto nell’angolo sud-ovest del corpo centrale del palazzo e attiguo alla sala con la Fama, la Nobiltà e la Vittoria (sala 5), questo ambiente venne decorato da Giacomo Antoni Boni tra il 1727 e il 1730, coadiuvato forse dal quadraturista Giuseppe Orsoni, responsabile della complessa quadratura di gusto rococò che interessa il soffitto e terminain un oculo mistilineo aperto verso il cielo. Al suo interno, seduta su di una nuvola, si scorge l’allegoria dell’Immortalità accompagnata alla sua sinistra da una fenice e alla sua destra da un putto con in mano un ramo di plumeria, entrambi simboli legati al concetto di eternità e rinascita.
Arricchiscono la quadratura, infine, diversi oggetti quali lance, stendardi, elmi, tamburi e frecce posti negli angoli della volta e quattro cornici ovali che, sistemate come se fossero appese all’architettura, raffigurano al loro interno vedute popolate da figure e architetture all’antica.
Edoardo Lo Cicero