Rivolta verso la facciata, questa piccola sala si trova immediatamente a mattina del grande scalone e fu dipinta da un quadraturista tuttora ignoto, nella seconda metà del XVIII secolo.
La decorazione coinvolge solo il soffitto, organizzato in un’unica grande specchiatura entro cui è collocato un medaglione ovale. Questi motivi architettonici sono resi tramite finti stucchi in stile tardo barocco arricchiti dall’artista con l’aggiunta d’inserti naturalistici quali rami e fiori.
Edoardo Lo Cicero
Posta a mattina dello scalone, la decorazione di questa grande sala fu eseguita da Ludovico Bracchi durante il restauro seicentesco che la famiglia Maggi operò sulla parte più antica del palazzo. La famiglia si rivolse a un artista bresciano poco noto che, nei dai rari documenti a disposizione, ebbe modo di lavorare sul finire del XVII secolo anche presso il palazzo Broletto (Giulio Antonio Averoldi, Le scelte pitture di Brescia, 1700, p.51) e il palazzo Gambara di Verolanuova (Camillo Boselli, Nuove fonti per la storia dell’arte. L’Archivio dei Conti Gambara presso la Civica Biblioteca Queriniana: Il Carteggio, Venezia 1971, p. 113). Purtroppo, gli affreschi di questa sala dovettero soffrire molto nel corso degli anni, specialmente durante l’apertura delle otto finestre eseguita dall’architetto Antonio Marchetti nella seconda metà del Settecento, e si presentano oggi abrasi e con consistenti cadute di colore.
La decorazione, che coinvolge l’intera superficie del soffitto, è composta da un grande trompe l’oeil immaginato dall’artista come un loggiato a serliane sormontato da una balaustra fortemente aggettante arricchita da due piccole cupole nei lati corti. All’interno di questa galleria, entro nicchie o distesi sui timpani delle porte, sono posti diversi busti, statue e putti che mostrano una forte alterazione del colore originale.
Al centro della volta, la quadratura architettonica si dischiude in una grande apertura, attraverso la quale è possibile scorgere un cielo ove sono raffigurati, negli angoli, le allegorie dei quattro continenti sedute su delle nuvole e, nel mezzo, un globo su cui siedono il Tempo, l’Eternità e una curiosa figura dalle orecchie di fauno che tiene in mano un rotolo con i segni dello zodiaco, un’inusuale raffigurazione della ciclicità del tempo, sottolineata anche dal putto che, poco più sotto, sorregge il cartiglio con la dicitura “DIVISUS UNUS”.
Edoardo Lo Cicero
Il vasto scalone, progettato da Antonio Marchetti nel Settecento per volere della famiglia Gambara, è posto esattamente al centro del fabbricato.
Definito da Fasto Lechi come “uno dei più grandiosi in Brescia” (Lechi 1977, p. 108), in quest’ambiente il visitatore viene accolto da un’ampia scalinata che porta a un primo ballatoio, ai lati del quale, a distanza di pochi gradini, se ne trovano altri due da cui si dipartono le rampe finali che portano al piano nobile. Nelle pareti, decorate con lesene a fusto scanalato e capitello corinzio, si aprono tre porte e diverse finestre con balaustra che presentano tutte lo stesso particolare timpano a forma di “pagoda”, forse un riflesso della moda per le cineserie (Lechi 1977, p. 108). Completano infine la decorazione delle pareti due stucchi in cui sono raffigurati, entro una cornice d’ispirazione vegetale, gli strumenti della pittura e dell’architettura.
L’intero vano della scalinata è coperto da una grande volta lunettata, ove nelle unghie sono dipinti alcuni finti stucchi con foglie d’acanto e cornici abbellite da diversi elementi d’ispirazione vegetale, mentre nei fusi sono raffigurate mensole su cui si appoggiano una ricca serie di armi, scudi, elmi, insegne (tra cui quella della famiglia Gambara) e, nella parete sud, anche una tavoletta dove il quadraturista Saverio Gandini firma e data al 1768 il suo lavoro (XAVERIUS GANDINI CREMO. PINXIT 1768). Nella parte centrale della volta è raffigurato un imponente trompe l’oeil con una prima balaustrata che sorregge, tramite coppie di colonne corinzie in marmo dal colore violaceo, una trabeazione alquanto movimentata dall’inserimento di timpani inflessi e spezzati. Più sopra si estende una cupola a lacunari appoggiata a un alto tamburo.
Edoardo Lo Cicero
Come per l’adiacente“Sala da pranzo” (Sala 1), anche la decorazione di questo ambiente si deve alla mano di Giuseppe Teosa,che vi lavorò nei primi anni dell’Ottocento.
La decorazione delle pareti si limita a pochi elementi:una fascia che corre continua nella parte alta ove si alternano putti e cigni tra girali d’acanto; più sopra, una modanatura semplice e una bassa fascia con un motivo vegetale.
Al centro del soffitto, libero da cornici o quadrature architettoniche, è dipinto il gruppo delle Tre Grazie, (Alagia,Eufrosine e Talia),accompagnate da una coppia di putti e da Cupido su una nuvola.
Edoardo Lo Cicero
La sala, collocata nel corpo di fabbrica a sera del palazzo e un tempo adibita a sala da pranzo, venne decorata da Giuseppe Teosa nei primi anni dell’Ottocento per volere della famiglia Bellotti, da poco tempo divenuta proprietaria dell’edificio.
La decorazione delle pareti presenta, sopra ad un alto zoccolo con finti marmi, tre grandi riquadri racchiusi entro coppie di lesene arricchite da un inserto policromo che, contenuto entro una cornice dagli angoli smussati, accoglie una figura femminile vestita con il peplo tra motivi vegetali. Il riquadro più ampio, posto nella parete occidentale e illuminato dalla luce naturale proveniente dalle finestre aperte nella parete di fronte, mostra un paesaggio dove un tempio antico, popolato da figure vestite alla maniera classica, dialoga con architetture di più recente invenzione ove si scorgono altri personaggi in abiti contemporanei. Nel riquadro della parete nord si scorge un’altra veduta con architetture e figure immerse entro un contesto bucolico, mentre in quello della parete sud è dipinto un paesaggio alberato, la cui visione è però preclusa da una cornice dipinta contenente la specchiera posta sopra il camino ove sono ritratti due putti intenti a giocare con una ghirlanda di fiori appoggiati sopra la cornice, creando un legame tra lo spazio reale della stanza e quello illustrato nel riquadro. L’esecuzione di queste vedute si deve, viste le numerose affinità con alcuni affreschi di palazzo Panciera di Zoppola (Tanzi 1984, pp. 101-103), alla bottega teosiana, pure se sono state attribuite anche a Giuseppe Manfredini (Lechi 1974, p. 231; A. Rapaggi 2014, p. 27), forse sulla scorta delle numerose collaborazioni che il pittore ebbe con Giuseppe Teosa. Al pittore clarense si devono anche i quattro soprapporta con le allegorie delle Stagioni,il fregio continuo composto da un motivo a grisaille con uccelli, vasi, fiori e teste leonine nella parte alta delle pareti e la decorazione della volta. Quest’ultima presenta nelle quattro vele una ripartizione in otto specchiature: quelle angolari sono decorate con un motivo monocromo su sfondo verde che ritrae due figure femminili e un mascherone alato tra tralci di vite;le specchiature principali ospitano, nei lati a mattina e sera, un vaso con coperchio, girali d’acanto e due putti intenti a giocare con una ghirlanda, e in quelle più ampie la medesima composizione vegetale di gusto neoclassico animata però dalla presenza di Amore (a nord) e Psiche (a sud). Infine, la parte piana della volta è occupata per la massima parte da un grande medaglione ovale entro cui sono rappresentai Apollo, Artemide e due putti. Ai bordi del medaglione trovano posto due mascheroni e quattro specchiature che rappresentano, in monocromo su di un tenue sfondo viola, un putto aggrappato ad un’aquila.
Edoardo Lo Cicero
Le decorazioni di questa scala, che in origine era utilizzata dalla servitù, risalgono ai primi decenni dell’Ottocento,quando,in occasione dei lavori commissionati da Antonio Bellotti, diversi ambienti dell’ala a sera del palazzo vennero aggiornati al nuovo gusto neoclassico.
Alle pareti si trovano dipinti, in monocromo, lo stemma dei Bellotti (uno scudo sormontato da un elmo ove nel primo partito si trova un leone rampante e nel secondo una scala posta in sbarra ed un sole), una natura morta con selvaggina e pentolame posta all’ingresso delle cucine e due fasce continue che seguono l’andamento delle rampe (quella collocata nella parte alta delle pareti è composta da festoni e motivi a volute, mentre quella inferiore presenta una successione di foglie d’acanto).
Nel soffitto, al cui centro si apre un grande lucernario, la decorazione è suddivisa in otto specchiature. In quella angolari è dipinto, su sfondo verde, un motivo con foglie d’acanto, due cigni e un vaso, mentre in quelle centrali vi è un grande mascherone che rielabora, come si può desumere dal cappello alato, la figura di Mercurio. A dividere le specchiature una dall’altra vi sono delle lesene ornate da un finto bassorilievo decorato con piante, frutti e teste leonine.
Edoardo Lo Cicero
La decorazione del soffitto venne eseguita entro la prima metà del XVIII secolo per volontà dei fratelli Oldofredi, al tempo proprietari del palazzo.
Come per la sala adiacente, anche in questo ambiente la decorazione è dipinta su finti cassettoni in legno sagomato ove si svolge un ricco repertorio decorativo di gusto barocchetto di ispirazione vegetale,il quale, condotto per la maggior parte in monocromo per imitare marmi e stucchi, presenta anche note di tipo naturalistico come gli otto vasi di fiori rappresentati in forte scorcio dal basso verso l’alto e l’inserimento di rami di edera tra un finto cassettone e l’altro.
Negli angoli si trovano quattro tele incassate racchiuse entro cornici mistilinee dorate. In esse sono rappresentate le allegorie delle Quattro stagioni tramite la rappresentazione di putti su sfondi particolarmente cupi, forse per dare più risalto ai toni chiari che pervadono il resto del soffitto.
Edoardo Lo Cicero
Collocata nel corpo centrale del palazzo, questa sala conserva interventi decorativi avvenuti in due momenti diversi.
Il più antico, eseguito nei primi decenni del XVIII secolo quando i proprietari del palazzo erano i fratelli Ettore ed Ercole Oldofredi, si trova nel soffitto. Questo è composto da finti cassettoni di legno sagomato ove si inseriscono, tra cornici mistilinee dorate, diversi motivi di ispirazione vegetale, alcuni svolti in monocromo per emulare lo stucco, altri di forte impronta naturalistica, come ad esempio le foglie di vite che si scorgono in vicinanza del grande oculo centrale. Negli angoli della volta si trovano quattro tele ovali incassate rispetto al resto del soffitto che rappresentano, in monocromo celeste e fortemente scorciati dal basso, i Quattro continenti. Infine al centro, anch’essa rientrante rispetto alla cornice, si trova una grande tela dai contorni mistilinei in cui è rappresentato il Trionfo di Roma,interpretato attraverso l’immagine di Minerva con in mano una Nike, seduta sulle armi dei vinti, i quali, spogliati e legati vengono tenuti sotto controllo dai soldati vittoriosi. Il motivo della scelta di questo tema, nuovissimo nella città di Brescia a quel tempo, non è chiaro: Fausto Lechi ipotizza potesse esser stata eseguita su indicazione di un qualche studioso votato allo spirito classico, oppure di un membro della famiglia Oldofredi che non voleva ricordare il trionfo di Venezia (Lechi 1974, p. 226).Secondo Antonio Rapaggi, la paternità della decorazione del soffitto potrebbe essere assegnata a Carlo Innocenzo Carloni o ad uno dei suoi più stretti collaboratori, la cui mano lo studioso riconosce anche nell’adiacente “Sala 4” e nello scalone a mattina (Rapaggi 2014, p. 24).
Durante i lavori di trasformazione in chiave neoclassica di alcuni ambienti, intrapresi nella prima metà dell’Ottocento dai nuovi proprietari, le pareti della sala sono state arricchite da una fascia continua realizzata da Giuseppe Teosa, composta da finti bassorilievi in monocromo che rappresentano putti, figure all’antica, candelabre e motivi vegetali alternati a riquadri ottagonali policromi ove sono raffigurate le muse Thalia, Melpomene, Euterpe, Urania, Calliope ed Erato in compagnia di diversi putti.
Edoardo Lo Cicero
La prima sala a sinistra della galleria venne decorata secondo un gusto affine al barocchetto lombardo, nella prima metà del XVIII secolo, per volere dei fratelli Ettore ed Ercole Oldofredi.
La volta è ornata da un esuberante dispiegamento di motivi di ispirazione vegetale, condotti per la maggior parte in monocromo con tinte pastello, ma con l’inserimento anche di elementi di carattere naturalistico, qualirami di edera, fiori e vasi rappresentati in forte scorcio dal basso verso l’alto. A conferire maggior rilievo plastico e luministico alla decorazione vi sono dei piccoli inserti dorati.
Edoardo Lo Cicero
Uno dei lavori eseguiti dalla famiglia Oldofredi nella prima metà del XVIII secolo fu l’inserimento di due scaloni alle estremità dell’edificio. Se la scala a sera era pensata ad uso di servizio, quella a mattina rappresentava la via d’accesso principale al piano nobile, motivo per cui venne riccamente decorata secondo il gusto tardo barocco diffusosi in quegli anni a Brescia.
Essendo stati ricavati entro l’edificio preesistente,entrambi gli scaloni dovettero essere progettati per non pesare eccessivamente sulla struttura, motivo per cui, invece che pesanti balaustre in pietra, si trovano delle ringhiere in ferro battuto, le cui volute e motivi ritornano anche nel parapetto del balcone centrale che guarda verso il cortile e nel grande cancello inserito all’ingresso del palazzo.
L’intero vano dello scalone è decorato da finte specchiature architettoniche molto semplici, sia sulle pareti che sulla parte inferiore dei ballatoi del primo e secondo piano. Il soffitto è composto anch’esso da dodici specchiature, ornate al loro interno da più complessi motivi vegetali e, in quelle più grandi poggianti sui lati, anche da clipei con la raffigurazione delle Stagioni. Al centro si trova, entro una finta cornice dorata con motivo vegetale, un medaglione dove sono rappresentati Aurora, due putti, Eosforo con in mano la fiaccola (ovvero la stella del mattino) e, più in basso, una figura maschile addormentata che sta per essere svegliata. Questa allegoria potrebbe alludere al risveglio della ragione, tema che in età Illuminista si ritrova proposto anche in altre dimore di ambiente bresciano come villa Lechi a Montirone, palazzo Gaifami a Brescia e Villa Mazzucchelli a Ciliverghe.
Edoardo Lo Cicero