Salone

Il salone è di pianta quadrangolare con gli angoli smussati e occupa tutta la larghezza del corpo principale; si innalza per due piani ed è illuminato da tre finestre che si aprono nel secondo ordine, su ciascun lato breve. Le pareti sono scandite da paraste con volute ioniche e foglie di acanto nei capitelli, che rimandano a un gusto classicheggiante. Al centro del soffitto, sagomata da una cornice mistilinea, si apre una scena di carattere allegorico, con cinque protagonisti scalati fra nubi giallo-rosate. Lo stato di conservazione attuale impedisce di identificare con certezza le personificazioni rappresentate: in posizione preminente, al centro della composizione, una figura femminile in veste gialla stringe uno scettro con la destra e una lancia con la sinistra; immediatamente sopra, alla sua sinistra, un putto sbuca tra le nuvole recando una colonna di alloro, a suggerire un carattere celebrativo ribadito anche dal personaggio in alto, fornito di tromba. Più in basso un’altra figura muliebre impugna una bilancia. La parte inferiore di questo moto ascensionale a zig-zag è chiusa da una personificazione di spalle con elmo piumato e manto blu appoggiata a un leone e per questo identificabile nel Valore. La ripresa fortemente scorciata del candido prospetto architettonico con balaustra conferisce uno scatto dinamico a tutto l’impianto prospettico.

Con ogni probabilità la scena raffigura Fama, Nobiltà, Giustizia, Pace e Valore come proposto da Pavanello. L’autore della decorazione è il pittore veneziano Fabio Canal.

Andrea Chioccca

Sala del Giudizio di Paride

Il fregio corre immediatamente sotto il soffitto ligneo a travature dipinte, nella fascia di raccordo con il muro sottostante. Al centro di ogni parete la decorazione è scandita da una serie di sagomati cartouches rococò di color giallo-oro, inseriti in più ampi elementi di raccordo color grigio che simulano lo stucco; i cartigli racchiudono brani figurativi in monocromo verde-acquamarina: in corrispondenza della porta di accesso alla sala, per chi proviene dal vestibolo, è raffigurato Paride, identificabile per la mela che mostra con la mano destra; sulla parete di fronte campeggia Giunone, mentre sui due lati maggiori si riconoscono Venere e Minerva. Più piccoli medaglioni angolari, pure a monocromo verde chiaro, mostrano quattro personaggi a mezzo busto che personificano le stagioni.

La paternità della decorazione è tutt’oggi ancora dibattuta, anche se Pavanello propone il nome di Francesco Zugno.

Andrea Chiocca

Sala delle Divinità

La Sala delle Divinità presenta una decorazione parietale, opera di Francesco Zugno, con nove brani a monocromo grigio su fondo bianco, entro riquadrature in stucco di gusto rocaille a colori contrastanti, rosa, giallo, verde-acquamarina. A fianco dell’attuale porta d’ingresso sono raffigurati Bacco e Arianna. Segue un personaggio femminile che potrebbe essere Flora, perché regge una cornucopia traboccante di fiori, così come un vassoio ricolmo di fiori e portato da due putti poco più in basso; vengono poi Venere accompagnata da Amore e Mercurio in volo, affrescato sul sovracamino tra le due finestre. Sulla parete contigua appaiono Minerva e Diana, nelle vesti di cacciatrice. L’ultima scena ha come soggetto il re e la regina dell’Olimpo, Giove e Giunone. La sala presenta sovrapporte in stucco bianco con inserti degli stessi colori delle fasce parietali.

Andrea Chiocca

Sala della Magnanimità

Sul soffitto di questo ambiente, in corrispondenza del punto mediano di ogni lato prendono risalto inserti a monocromo ocra con scudi, armi e insegne militari. Al centro, all’interno di una ricca cornice decorativa mistilinea simulante motivi a stucco di gusto rococò, si apre un occhio di cielo ovale: qui, fra nuvole, sieda una figura femminile vestita di giallo, con un corpetto bianco e una sopravveste viola; la cinge un velo rosa. Il personaggio, appoggiato a un leone, abbraccia con la sinistra una cornucopia ricolma di monete e con la destra ostenta una corona. Alle sue spalle una coppia di putti sparge monete da un’altra cornucopia. Si può riconoscere nella scena la raffigurazione della Magnanimità, secondo le indicazioni date da Cesare Ripa. Anche in questo ambiente ha operato Francesco Zugno, coadiuvato dall’ornatista Francesco Zanchi.

Andrea Chiocca

Sala delle Virtù e della Prudenza

Al centro di ogni parete, su piedistalli sagomati entro una sorta di conchiglioni color bruno sono dipinte raffigurazioni delle stagioni, a monocromo seppia: entrando dalla porta di accesso si trova davanti a sé la Primavera e, proseguendo in senso anti-orario, l’Estate, l’Autunno e l’Inverno. Gli angoli del soffitto sono decorati con medaglioni monocromi ocra su fondo a finto mosaico: partendo dal lato breve sopra l’ingresso si incontrano Giunone e Minerva, Apollo e Diana, Bacco, Venere. Al centro, contornata da una cornice che simula elementi in stucco di gusto rocaille a monocromo bianco su fondo rosa, appare una scena impostata per diagonali spezzate: assisa fra le nuvole appare la Prudenza, riconoscibile per lo specchio impugnato con la sinistra e il serpente stretto con la destra; il personaggio si presenta con una veste rosa dai riflessi gialli e un velo verde-chiaro che svolazza alle sue spalle. Poco più in basso giunge in volo un’altra figura, la Virtù, contraddistinta dal sole che brilla sul petto e dalla lancia stretta con la mano sinistra. Prudenza e Virtù trionfano sull’Ignoranza, personificata dal personaggio femminile scarmigliato che sta precipitando nella parte inferiore della scena. Autore della decorazione è Francesco Zugno insieme all’ornatista Francesco Zanchi.

Andrea Chiocca

Sala di Diana

Nella Sala di Diana il soffitto è occupato da una ricca cornice con motivi a finto stucco che, grazie a una gamma cromatica tutta giocata sui toni del grigio, del seppia-ocra, del marrone, suggeriscono diversi spessori materici. Fra conchiglie, volute, medaglioni, racemi vegetali, armi ed emblemi militari trovano posto vasi di fiori e putti musicanti color bronzo. Al centro di questa cornice appare, fra le nuvole, Diana, con una veste grigia e un manto blu: raffigurata come divinità della caccia, è accompagnata da tre putti sgambettanti che scherzosamente portano un levriero al guinzaglio e recano il corno della caccia.

Gli affreschi si devono a Francesco Zugno e all’ornatista Francesco Zanchi.

Andrea Chiocca

Scalone

Le pareti dello scalone sono decorate con quadrature scandite da lesene e, al centro, l’apertura di un’arcata sorretta da coppie di colonne ioniche. Attraverso tale apertura sono immaginati gli ambienti interni di un palazzo, mentre nella parte inferiore dell’arcata si affacciano da una balaustra alcuni personaggi che accolgono il visitatore. Da una parte un personaggio maschile riccamente abbigliato si accinge a salire una scala, mentre pare invitare a seguirlo un cane che, sopra un tappeto, poggia accucciato sulla balaustra; dall’altra si affacciano due figure: una donna con un pappagallo e un servo moro mentre sullo sfondo s’intravede il fastoso ambiente interno di un salone. Tra le lesene, ai lati di queste arcate, entro raffinate decorazioni in finto stucco di gusto rocaille, sono dipinte coppie di putti a monocromo intente a giocare con strumenti e oggetti di svariato genere allusivi alle Stagioni.

Agli angoli del soffitto mazzi di spighe, mentre al centro una complessa quadratura architettonica simula un cupolino a base ovale modulato da membrature e da cornicione che, agli angoli crea nicchie entro le quali sono collocati dei vasi. Su tale cornicione poggiano nature morte a monocromo con gruppi d’armi e panopilie. Nello scomparto centrale sono adagiate su nuvole tre allegorie femminili identificabili con la Nobiltà, la Virtù e l’Abbondanza. Nel basso un putto dalle ali farfalline scaccia con una torcia una nerboruta figura maschile, con ogni probabilità il Vizio.

Le sovrapporte, sopra le soglie che conducono, in cima allo scalone, ai vari ambienti del palazzo, presentano altri soggetti allegorici: la prima, a sinistra sulla sommità dello scalone, rappresenta l’Origine; la seconda, al centro, è l’allegoria del Mezzo; da ultimo a destra la Fine.

Sotto le finestre che illuminano l’ambiente, due figure allegoriche, adagiate su due arconi, reggono lo stemma di famiglia: da una parte la Fama e dall’altra un’allegoria, di difficile decifrazione, rappresentante una figura femminile probabilmente allusiva alla nobiltà della famiglia, che tiene in alto con la destra un mazzetto di fiori e con la sinistra regge una corona.

La paternità degli affreschi è ancora oggi molto dibattuta.

Andrea Chiocca

Stanza delle Adunanze

Nel 1667 il Consiglio dei Sedici deliberò di far decorare le pareti del salone superiore, deputato alle assemblee del Consiglio maggiore, con un ciclo di affreschi illustranti episodi della storia di Padova. L’incarico di organizzare l’operazione fu affidato a Carlo de’ Dottori letterato dai sentimenti anti-veneziani. A lui si deve il programma iconografico e la redazione delle iscrizioni esplicative sottostanti gli affreschi.

Lungo le pareti della grande Stanza delle Adunanze vennero inscenati sette episodi della storia cittadina, incorniciati da giganteschi telamoni di derivazione carraccesca e intervallati da sei finte nicchie con stutue dipinte a monocromo raffiguranti illustri padovani della storia. Elementi comuni a tutto l’ambiente sono la finta trabeazione dentellata, le finte colonne e le lesene ioniche poste agli angoli e lungo le pareti. Sotto ogni episodio, entro una ricca cornice a monocromo, si trovano le cartelle con iscrizioni relative alle storie e ai protagonisti dipinti. Le iscrizioni sono in gran parte perdute o lacunose. Autore degli affreschi è Pietro Antonio Torri, allievo di Francesco Albani a Bologna. Specialista in finte architetture in questa impresa databile ai primi anni sessanta del Seicento non si limita solo alle quadrature ma esegue anche le parti figurate.

Il ciclo pittorico si apre sulla parete orientale con una decorazione a finta tapezzeria, sormontato da un ricco cartouche con in mezzo il leone marciano. Al centro è collocato il dipinto a olio raffigurante la Commemorazione dell’ambasceria dei padovani per l’elezione del doge Nicolò Sagredo, eseguito nel 1675 da Giulio Cirello. Sulla stessa parete, a sinistra della tapezzeria dipinta, si trova una finta statua all’interno di una nicchia affrescata raffigurante Tito Livio. Sulla destra, raffigurato con corazza, Lucio Pediano, protagonista di un episodio dei Punica di Silio Italico. Sulla parete meridionale, sopra due porte, sono presenti due finti busti e sono raffigurate tre scene separate da telamoni rappresentanti probabilmente quattro delle dodici fatiche di Ercole. Il primo dei due busti a sinistra, raffigura Lucio Arrunzio Stella, poeta e uomo politico padovano di età Flavia. Il secondo busto a destra, rappresenta Valerio Flacco, poeta di età flava autore degli Argonautica. Tra le due porte la prima scena figurata tra i telamoni è Antenore dà il nome a Padova o la Fondazione di Padova. La scena successiva raffigura la Battaglia contro il re Cleonimo. Il riquadro seguente raffigura il Suicidio di Trasea Peto, filosofo e uomo politico padovano condannato a morte da Nerone.

La parete occidentale, in corrispondenza di via Monte di Pietà, rappresenta due scene cruente separate da una finestra: il Suicidio di Arria e il Suicidio di Bianca de’ Rossi.

Sulla parete settentrionale della sala, in corrispondenza della facciata scandita da trifora centrale e da due bifore laterali, sono raffigurate due finte statue alle estremità. Ai lati della trifora sono invece dipinti due episodi di storia padovana che chiudono il ciclo pittorico. Nella finta nicchia di sinistra, il primo personaggio togato con un libro in mano, è Giulio Paolo, giureconsulto di età severina che si credeva fosse padovano. La scena seguente, non identificata, potrebbe intitolarsi la Grandezza di Padova. L’episodio successivo viene riconosciuto come la Fedeltà dei servi padovani.

Il ciclo è un’esaltazione delle virtù degli antichi uomini e donne illustri della città fondata da Antenore, in cui gli “uomini e donne celebri” fungono da exempla per l’operare del presente.

Andrea Chiocca

Salone di Teti

Il grande salone è completamente affrescato sulla volta e sulle pareti. Su quest’ultime sono simulati finti arazzi contornati da fasce floreali che rappresentano scene collegate al tema di Teti, ma le cattive condizioni di conservazione non sempre consentono una chiara lettura. Un riquadro illustra la ninfa Teti che immerge il figlio Achille nel fiume Stige per renderlo immortale, seguito dall’episodio di Teti che chiede a Efesto di confezionare le armi di Achille. Non identificabile con certezza la figura di vecchio in adorazione di un idolo, come pure la scena al centro di una parete lunga raffigurante un cavaliere preceduto da un servo con torcia.

A raccordare pareti e volta sono presenti una serie di lunette entro le quali sono rappresentati busti all’antica intervallati da scenette a monocromo. Dal cornicione inoltre si eleva una struttura in finto stucco che si estende sulla volta a botte e definisce tre aperture. Dai piedritti si imposta un’intelaiatura di motivi a volute, fogliame e mascheroni, popolata da putti intenti a cogliere frutti dai festoni, a sostenere il cornicione del grande sfondato centrale e le cornici mistilinee in finto stucco con coppie di figure infernali ai lati inquadranti due ovati. Le scene sulla volta illustrano gli episodi mitologici che furono causa dello scoppio della guerra di troia, nel primo ovato si trova il Giudizio di Paride e nel secondo il Rapimento di Elena. Al centro è affrescato il Convito di Teti e Peleo al quale non fu invitata la dea della discordia Eris che lanciò il pomo d’oro preteso dalle più belle tra le dee presenti.

Stanza del Cupido

La volta divisa da costoloni che ritagliano otto spicchi decorativi con motivi a finti stucchi, presentano al loro interno scene figurate nel paesaggio (forse di amanti della mitologia e della letteratura) accompagnati nelle nicchie angolari da coppie di busti all’antica di uomo e donna, raffiguranti forse amanti dell’antichità. Al centro della volta è ricavato un oculo che inquadra la figura di Eros in volo. Anche in questo caso la decorazione è riferibile alla mano di Daniel van den Dyck.

Andrea Chiocca