Stanza delle Stagioni

Alla base di una finta architettura colonnata in prospettiva si aprono una serie di lunettoni e loggette d’angolo, che contengono personificazioni delle quattro stagioni e coppie di putti che simulano le attività umane nelle diverse parti dell’anno. Al centro della quadratura si apre un loculo ottagonale dal quale si affaccia Giove corredato dagli attributi dell’aquila e del fulmine, il tutto realizzato dal pittore fiammingo seicentesco Daniel Van den Dyck.

Andrea Chiocca

Loggia sul giardino

L’attuale ingresso si trova nel raccordo tra i due corpi di fabbrica. Da qui si entra in una loggia con volte a crociera dipinti con finti soffitti di stucco o di legno intagliato a volute e racemi retti da putti-cariatidi dipinti sulle vele, realizzati da Daniel van den Dyck e collavoratore forse Giovanni Battista Accolla.

Andrea Chiocca

Sala detta dei “Principi”

Nella fascia curva della volta, avente al centro una cornice quadrata oggi vuota, insiste su una decorazione a stucco bianco che definisce un tondo al centro e comparti a forma di goccia nei quattro angoli. Nei quattro oculi sono raffigurati altrettante immagini degli Schema seu speculum principum: Venatio, Nuptiae, Litterae, Arma. Ai quattro angoli scenette a terretta grigio-blu con episodi delle fatiche di Ercole.

Per decorare le due sale viene studiato un sistema elaborato che combina pesanti incorniciature lignee, ospitanti in origine tele incassate, associate ad aree rivestite di stucchi includenti superfici affrescate. È probabile che gli Obizzi abbiano deciso di affidare l’incarico della decorazione a un maestro a capo di una bottega di primo piano a Padova nel primo quarto del Seicento, probabilmente Gaspare Giona e i suoi aiuti.

Salone detto del “Trionfo Romano”

La volta si articola in tre “ordini” degradanti verso le pareti. La fascia curva poggiante sul cornicione della parete è decorata da incrostazioni di stucco bianco a cartella, mascheroni, losanghe e motivi vegetali che definiscono al centro uno scomparto affrescato, due minori ai lati e due trapezoidali agli angoli. La fascia mediana presenta scenette a soggetti mitologici di ispirazione ovidiana e macchiette nei tondi di vario soggetto. Nella fascia stuccata sopracornice le decorazioni plastiche contornano un riquadro centrale allungato, raffigurante sui lati lunghi un Trionfo romano e la Fondazione di Roma, sui lati corti due scenette di storia romana, intervallato da coppie di comparti di forma tendenzialmente triangolari con personificazioni allegoriche. Agli angoli sono illustrate le quattro stagioni dell’anno. Tra le allegorie si riconoscono la Fama, l’Intelligenza, l’Abbondanza, l’Unione, la Verità, la Fortezza, la Generosità. L’area centrale della volta è divisa in tre zone da cornici lignee quadrate e ottagonali contenenti un tempo tele amovibili andate disperse.

Andrea Chiocca

Salone

La pianta dell’ambiente  ricalca quella dell’ambiente  al piano terra, con una struttura a T composta di un’antisala e, di altezza doppia rispetto ad essa, di un salone vero e proprio. Le pareti del salone sono decorate con scene mitologiche entro finti riquadri a stucco: a partire da sinistra rispetto all’ingresso dell’antisala troviamo Il Sogno e la Notte, sulla parete occidentale Venere e Amorini ed Ercole e Onfale. Sopra le finestre della parete settentrionale sono affrescate raffigurazioni di Ninfe e Fauni, mentre nella ristretta fascia dello zoccolo che divide le porte-finestre centrali dalle finestre laterali sono rannicchiate due personificazioni: quella maschile è un Fiume, quella femminile forse una ninfa fluviale. Sull’altro lato corto, la parete orientale, vi sono l’episodio mitologico di Apollo e Dafne e la raffigurazione delle Grazie. La fascia superiore del sottosoffitto è scandita da cartouches mistilinei con scene di putti a monocromo azzurro. A completamento della decorazione parietale, a lato dell’ingresso, la scena con Argo, Mercurio ed Io. Sopra le due porte dei lati corti vi sono sovrapporte ovali a monocromo con le rappresentazioni di Venere e Amore. Altre raffigurazioni analoghe si trovano sulla parete finestrata, in mediocre stato conservativo.

Ampi inserti in stucco bianco e oro, talvolta sovrappostisi alla decorazione pittorica ad affresco, sono stati inseriti posteriormente, nel corso del XIX secolo. Denis Ton (2018, p. 201) ipotizza che anche la fascia inferiore delle pareti fosse decorata ad affresco, nonostante questa porzione non sia oggi più visibile. Anche l’attuale soffitto sostituisce gli affreschi originali di Dorigny, che furono “fatti sparire mentre si facevano riparazioni al tetto, perché le filtrazioni d’acqua avevano loro recato qualche danno” (Vecchiato 1894).

Le pitture sono state realizzate da Louis Dorigny (1654-1742), come già segnalato dalla guida settecentesca di Rossetti (1765). Per quanto concerne le quadrature invece, non sembra necessario a Ton chiamare in causa l’intervento di Antonio Felice Ferrari (Ton 2018, p. 201).

La datazione dell’intervento di Dorigny a palazzo Cavalli ha quasi sempre trovato collocazione a cavallo fra XVII e XVIII secolo, ma viene ricondotta con più precisione al 1704, vigilia della partenza del pittore per la Francia, da Denis Ton (Ivi, p. 202).

Emanuele Principi

 

 

Scalone

Il vano dello scalone si estende per tutti i tre i piani dell’edificio ed è interamente affrescato sia sulle pareti, sia nella parte inferiore delle rampe stesse, decorate con riquadri raffiguranti putti, affiancati da racemi verdi intrecciati a mo’ di medaglione.

Le pareti presentano nella fascia inferiore una finta balaustra, che s’immagina appaiare quella reale in pietra, con finte sculture di putti reggenti ghirlande. Sulla balaustra della scala alcune statue di putti si accompagnano a quelle immaginate dalla quadratura. Entro un ampio cartouche in finto stucco sono dipinti i busti dei Cesari, mentre ai lati della porta che conduce dall’atrio allo scalone si trovano raffigurati a monocromo (rosa su fondo verde) gruppi di vari oggetti appesi, tra cui strumenti musicali, spartiti, libri e squadre. Al centro di ogni parete vi sono finti quadri ovali posti in tralice, con una ricca cornice, entro i quali sono rappresentate le allegorie delle quattro Arti liberali.

Al primo piano, ai lati del portale che conduce al salone, sono raffigurati entro cornice rettangolare Pallade vince il Tempo ed Ercole sottomette la Frode. Al di sopra di tali riquadri è posta una finta nicchia rettangolare con vaso. Al centro della parete dell’ultima rampa di scale è rappresentato Apollo, a mezzo busto, con lo sguardo rivolto verso l’alto colto nell’atto di suonare la cetra. Subito a lato si trova il trompe l’œil di un giovane servo moro che scosta una tenda dietro una finta balaustra. Al di sotto sono raffigurati un bastone da passeggio e una spada, mentre una grande aquila a monocromo conclude la quadratura all’ultimo piano dello scalone.

Denis Ton (2018, pp. 191-192) individua nella scelta dei soggetti la volontà di indicare una sorta di percorso di ascesi e liberazione dalle passioni attraverso le Arti e le Scienze, rappresentate nei finti riquadri ovali, sotto l’auspicio dell’Apollo musagete che campeggia nell’ultimo riquadro in cima allo scalone.

L’attribuzione degli affreschi alla coppia emiliana fu  : egli poteva avvalersi di informazioni di prima mano dovute alla conoscenza diretta di Giacomo Parolini, pittore ferrarese che a Palazzo Cavalli si stava esercitando in collaborazione con il ferrarese Antonio Felice Ferrari. Per quanto concerne la datazione, Giuseppe Pavanello (1978) osserva come “l’addensamento dei motivi di evidente matrice tardoseicentesca” induca a ritenere una precedenza netta rispetto agli affreschi di Ca’ Dolfin, dove Ferrari lavora prima del 1720, data della sua morte. Squarcina (1999-2000) ipotizza tuttavia una datazione ancor più anticipata, da far risalire a prima del 1708: questo sulla base dell’indicazione fornita dal Baruffaldi in merito alla presa in moglie, da parte del Ferrari, di “Benedetta figlia del dottor Gianantonio Ghiro padovano”, evento accolto con grande soddisfazione dal padre Francesco Ferrari. Essendo probabile che Antonio abbia conosciuto la futura moglie in occasione del soggiorno padovano per la decorazione di palazzo Cavalli, ed essendo il padre Francesco morto nel 1708, lo studioso ipotizza che anche gli affreschi debbano essere precedenti a tale data.

Gli affreschi non sono in perfetto stato di conservazione: i gruppi di putti che si affacciano dai riquadri affrescati sulle rampe delle scale sono stati pesantemente ridipinti, mentre più in generale la superficie pittorica appare alquanto smagrita e spulita.

Emanuele Principi

Stanza dei Giganti

Le pareti della stanza dei Giganti, ubicata al pianterreno, presentano giganteschi telamoni affrescati in finta pietra, addossati a colonne. Alcuni di essi si presentano parzialmente panneggiati da tendaggi che alcuni putti scostano per rivelare la presenza di finti quadri riportati. Sopra l’ingresso da cui si accede alla stanza dall’atrio e quella che conduce all’adiacente stanza delle Storie Bibliche sono dipinte sovrapporte con due figure di uomini anziani barbuti e panoplie di armi. Sullo zoccolo corre un fregio abitato da putti.

Sulla parete d’entrata sono rappresentate due scene con protagoniste due figure femminili: la Vestale Tuccia che affronta la prova del setaccio a sinistra, un episodio di Sacrificio presso un’ara a destra, di non facile identificazione. La parete settentrionale è occupata dall’episodio di Muzio Scevola davanti a Porsenna, dalla parte opposta si vede Tullia che investe con un carro il cadavere del padre Servio Tullio. Sulla parete orientale, dirimpetto a quella d’ingresso, si trovano i finti quadri con Volumnia e i figli arrestano Coriolano alle porte di Roma e Semiramide riceve la notizia della caduta di Babilonia.

Emanuele Principi

Stanza della Caccia

La stanza è accessibile dalla porta a sinistra subito dopo l’ingresso principale: le pareti si presentano interamente affrescate secondo un tipo di decorazione “alla boschereccia”, che dissolve il limite architettonico delle pareti illudendo il visitatore di trovarsi all’interno di una foresta, accerchiato da gruppi di cacciatori intenti a tendere agguati a vari animali.

Nella parete d’ingresso le vittime sono uno struzzo e un orso, mentre la parete opposta è oramai resa indecifrabile dall’umidità. Nella parete di sinistra dell’ingresso si svolge la scena della caccia al cinghiale, in quella di destra la caccia al toro. La parte alta delle pareti è occupata dalla rappresentazione di altri animali (conigli, una scimmia, un leone) tra cui uccelli, in parte racchiusi in gabbiette, in parte posati sui rami degli alberi.

Sono stati in particolare gli affreschi della stanza della Caccia ad aver spinto Francesca Flores d’Arcais (1978, pp. 31, 33, nota 22) ad avvicinare il ciclo del pianterreno a Michele Primon (1641 ca. – 1711), per la consonanza con gli affreschi di villa Contarini a Piazzola sul Brenta databili al 1684. La stessa studiosa ritiene però ora che solo questa stanza sia effettivamente da avvicinare al Primon (Flores d’Arcais 2001, p. 645).

Emanuele Principi

Saletta al piano terra

Gli ingressi di una saletta al piano terra furono incorniciati da una decorazione ad affresco, della quale restano oggi pochi lacerti staccati. Attorno alle aperture venne ricreata una finta incorniciatura in pietra di stile rinascimentale, con modanature classicheggianti e un mascherone al centro del cornicione. Sullo stipite si importava una sovrapporta con fastigio a volute su cui poggiavano due personificazioni allegoriche affrontate: al centro, la simulazione pittorica di uno scudo mistilineo contenente un finto bassorilievo con figura allegorica.

Il giudizio relativo alla parte pittorica può sostanziarsi grazie ad un’immagine storica antecedente la demolizione: secondo l’analisi che ne fa Vincenzo Mancini (2018, p. 210), nella mente dell’anonimo pittore è ancora presente l’esempio di Louis Dorigny (1654-1742) attivo pochi anni prima in Palazzo Cavalli, ancora visibile nella figura femminile di spalle adagiata in una posa contorta sulla voluta.

Stanza delle Metamorfosi e Vestibolo

La stanza è accessibile tramite l’androne a T che collega l’ingresso al cortile interno, che conduce a tre stanze, tra cui questa, e allo scalone. In questo ambiente le pareti sono affrescate e scandite da finte lesene ioniche inquadranti ovali con cornici dorate, sormontate da mascheroni e protomi zoomorfe intrecciate con volute viola e motivi floreali abitati da satiri e putti. All’interno degli ovali sono raffigurati episodi mitologici tratti dalle Metamorfosi di Ovidio: sopra le porte che conducono alle altre stanze vi sono coppie di figure femminili reggenti medaglioni monocromo, mentre nella parte inferiore corre un alto zoccolo a fingere una balaustra. Sotto ogni ovale si trova un emblema accompagnato da un motto.

A destra dell’ingresso si trova il primo episodio con Apollo e Dafne, accompagnato dall’emblema di una salamandra del fuoco con il motto “NEL ARDOR NON RESTA OFFESA”. Segue la porta di accesso alla stanza della boschereccia, sormontata da due figure femminili reggenti un cartouche, con all’interno il medaglione con il monocromo di una Scena di sacrificio (forse l’episodio della Vestale Emilia). L’ovale successivo rappresenta Latona e i contadini della Licia, sotto il quale appare l’emblema con il vento che alimenta un fuoco e la scritta “AL TUO SPIRAR M’AVIVO”.

Dalla parte opposta, a sinistra della porta d’ingresso, vi è la Nascita di Adone: sullo zoccolo un camaleonte su un ramo e la scritta “NEL SUO BEL LUME SI TRASFORMA E VIVE”. La seguente porta che conduce alla stanza delle Storie Antiche è sormontata da una sovrapporta con le figure femminili consuete e il monocromo (Muzio Scevola). Segue l’episodio di Giove e Io con raffigurati, a scalare nei piani, i vari momenti della vicenda, mentre l’emblema di

accompagnamento riporta un girasole, un cartiglio e la scritta “NON SAN QUESTI OCCHI MIEI VOLGERSI ALTROVE”. Ai lati dell’apertura colonnata che conduce al vestibolo minore si trovano gli episodi di Diana e Atteone, con l’emblema di una falena attratta da una candela accesa e la scritta “COSÌ VIVO PIACER CONDUCE A MORTE”; il Ratto di Deianira, con sullo zoccolo un trapano con cartiglio, ora quasi del tutto illeggibile, che riportava “FINCHÈ IN VARIE RIVOLTE DRITTO FORA” (Checchi, Gaudenzio, Grossato 1961, p. 431).

Dalla parte opposta, sotto le finestre ai lati dell’ingresso principale, altri emblemi con cartiglio: il primo a sinistra è illeggibile; il secondo raffigura una volpe che occupa una tana abbandonata da un altro animale “ALTRI DAL MIO PARTIR S’USURPA IL LOCO”; a destra un uccello su un ramo e la frase “È SOLITARIA E SOLA”; infine uno scoglio nel mare in burrasca con la scritta frammentaria “[…]S[…]INTORNO ED OGNI INTORNO FERMO”.

Il soffitto della stanza è alla sansovina, con travature dipinte.

Così come nel vestibolo, le scene delle Metamorfosi sono estremamente interessanti dal punto di vista compositivo: sovente i vari momenti dell’episodio rappresentato si succedono nei piani della stessa scena, consentendo la compresenza di più fasi del racconto all’interno del medesimo riquadro. Come suggerito oralmente a Denis Ton da Chiara Marin (Ton 2018, p. 186), i vari motti sono tutti presenti nel Teatro d’imprese di Giovanni Ferro (Venezia 1623), che quindi deve essere considerato la principale fonte per le iscrizioni.

Il vestibolo che conduce al cortile e consente l’accesso allo scalone presenta, al pari della stanza delle Metamorfosi, quattro episodi tratti dal testo ovidiano. Nella parete sinistra Leda e il cigno, con l’emblema sottostante rappresentato da una candela accesa dai raggi del sole e la scritta “DOPPIO AMOR MI CONSUMA”; segue la porta che conduce alla stanza delle Storie Bibliche sormontata da due figure femminili reggenti un medaglione a monocromo con Marco Curzio che si getta nella voragine. A seguire vediamo l’episodio del Ratto di Europa, accompagnato dall’emblema di uno struzzo e dalla scritta “AL MIO CALOR OGNI DUREZZA CEDE”.

Sulla parete opposta, il primo episodio presenta tre donne armate di spada intente a cacciare un cinghiale, l’Uccisione di Penteo da parte delle Menadi. A destra l’episodio con Atalanta e Ippomene, scandito in due momenti. L’emblema sottostante, con Cupido, reca il cartiglio con la frase “SENZA PIAGA LASCIAR TRAPASSA IL CORE”. Sotto le due finestre ai lati del portone che dà sul cortile interno sono raffigurati altri emblemi: a sinistra una conocchia e la scritta “DAL SUO GIRAR ALTRI RACCOGLIE IL FILO”; a destra una fiaccola capovolta e il cartiglio frammentario con “SOLO ARDENDO […]NALZ[…]”. Nello spazio risparmiato tra le finestre e il portale sono rappresentati dei putti aggrappati a festoni floreali, e sulla sommità altri medaglioni monocromo con scene presso delle are (uno dei quali interpretato da Ton come Vestale Tuccia, cfr. 2018, p. 180).

Così come nella stanza delle Metamorfosi, le scene del testo ovidiano sono estremamente interessanti dal punto di vista compositivo: sovente i vari momenti dell’episodio rappresentato si succedono nei piani della stessa scena, consentendo la compresenza di più fasi del racconto all’interno del medesimo riquadro. Come suggerito oralmente a Denis Ton da Chiara Marin (Ton 2018, p. 186), i vari motti sono tutti presenti nel Teatro d’imprese di Giovanni Ferro (Venezia 1623), che quindi deve essere considerato la principale fonte per le iscrizioni.

Emanuele Principi