Salone

Il salone è il primo ambiente che si incontra salendo al terzo piano del palazzo. Su entrambi gli alzati dei lati corti, decorazioni a girali vegetali a terretta verde salvia circondano un clipeo contenente un busto femminile in finto marmo e stucco. Sulla volta, una semplificata quadratura finge un’estensione in altezza del soffitto, traforato al centro da un’apertura polilobata su un cielo immaginario che ospita le Allegorie delle Arti.

Emanuele Principi

Stanza dell’Alcova

Situata al terzo piano del palazzo, la stanza dell’Alcova è accessibile dal salone principale. La copertura presenta un ottagono incorniciato da un cassettone ligneo decorato a dentelli: nella superficie ottagonale è simulato un giro di plinti a voluta in marmo bianco, tra i quali corrono festoni che reggono, sui lati lunghi, due cammei con profili maschili e femminili.

Al centro si trova un finto quadro con l’immagine di Diana, mentre in corrispondenza della zona destinata al letto il quadro riportato ha il formato di un ovato bislungo, contenente l’immagine di Venere con Cupido. Sopra il letto è incassato un oculo mistilineo, decorato da finti motivi a stucco, con un Amorino recante corone di fiori. In uno dei due guardaroba laterali, sussistono lacerti di una decorazione ad affresco.

Emanuele Principi

Sala degli Amorini

La sala degli Amorini è uno dei due camerini su cui affaccia la stanza dell’Alcova, situata al terzo piano del palazzo. Come la sala di Zefiro, l’ambiente ha il soffitto decorato da un affresco realizzato all’interno di una cornice lignea fissata alla volta, racchiuso da una finta cornice dorata. Dentro questa incorniciatura vengono raffigurati alcuni putti intenti a giocare tra le nuvole.

Emanuele Principi

Sala di Zefiro

La sala di Zefiro è uno dei due camerini su cui affaccia la stanza dell’Alcova, situata al terzo piano del palazzo. Come la sala degli Amorini, l’ambiente ha il soffitto decorato da un affresco realizzato all’interno di una cornice lignea fissata alla volta, racchiuso da una finta cornice dorata. Dentro questa incorniciatura vengono raffigurati Zefiro e Flora, assisi su nubi scure, attorno ai quali volteggiano due putti.

Emanuele Principi

Sala di Lauree della Facoltà di Lettere e Filosofia

All’interno della sala adibita, dal 1679 al 1854, ad aula per lauree e cerimonie accademiche, sono conservati due affreschi del XVII secolo (Semenzato 1979, p. 77; Patrone 1998-1999, p. 75). La stanza corrisponde alla sala superiore della Ca’ Nova, che conserva il soffitto antico e un fregio del XIV secolo poi incorporati nella struttura del Bo (Anti 1983, p. 32). L’ambiente venne ristrutturato nel 1679 (Papadopoli 1724, I, p. 28) come ricorda l’epigrafe posta sopra la porta d’ingresso, che recita: “SVMMA CVRA ET INCOMPARABILI VIGILANTIA / ILLVSTRISS. ET EXCELL: DD. / REFORMATORUM / ALOYSII PRIOLI DIVI MARCI PROC. / NICOLAI VENEREII DIVI MARCI PROC. / SILVESTRI VALERII DIVI MARCI PROC. E EQ. ERECTUM / ANNO REPAR. SALUT. MDCLXXIX CURANTE CAROLO RENALDINO PHILOSOPHO PRIMAE SEDIS”.

Sulla parete ovest, ai lati della finestra, entro due finte nicchie sono affrescate due Figure allegoriche policrome (pertinenti con la funzione della sala), sotto ognuna delle quali è dipinta una cartella che doveva contenere una didascalia. Nella nicchia a sinistra è raffigurato il Merito, un uomo barbuto coronato d’alloro con mantello, in piedi su una roccia: nella mano sinistra regge una penna, nella destra un libro. Nella nicchia a destra è invece dipinto il Premio, un uomo stante, poggiante su un piedistallo: con la mano destra tiene rami di palma e quercia, con la sinistra una corona di metallo e un serto d’alloro.

Alessandro Pasquali (2018, p. 171) avanza dubbi sul fatto che la commissione del completamento ornamentale ad affresco sia da inserire nell’operazione di risistemazione della sala promosso dai riformatori dello Studio Nicolò Venier, Alvise Priuli e Silvestro Valier del 1679: l’analisi stilistica che lo studioso compie sulle due figure mostra un autore fortemente legato alla tradizione pittorica tardo cinquecentesca, il che fa emergere l’ipotesi che gli affreschi fossero già in essere a tale data.

Emanuele Principi

Sala del camino

La stanza prende il nome dal monumentale camino, la cui cappa è rivestita da una ricca decorazione in stucco realizzata dallo stesso plasticatore responsabile degli ornamenti plastici distribuiti in altre stanze, in via ipotetica identificato con Pietro Roncaioli (De Grassi 1999, pp. 60-61), operante nel palazzo attorno alla metà degli anni Ottanta. Analoga datazione è riconducibile agli affreschi presenti nella sala, che Vincenzo Mancini ipotizza siano reliquia di una decorazione a fresco estesa in altre parti della sala (2018, p. 174).

Lungo le pareti, sotto la cornice, corre una fascia decorativa che simula un cornicione in pietra, definito da una modanatura sostenuta da modiglioni. Tra un modiglione e l’altro si susseguono spazi rientranti che accolgono finti stemmi con immagini di animali, entro elaborate cornici in stucco, alternati a vasi di fiori. La responsabilità dell’invenzione di questi effetti illusionistici è da assegnare ad un quadraturista specializzato (cfr. Ibidem). La combinazione degli elementi, come il cornicione aggettante sostenuto da mensoloni segmentanti la superficie o la sequenza di cartouches in finto stucco, connettono l’opera ai modelli tipici della prima metà del secolo, ma i grandi vasi di fiori tradiscono un aggiornamento sui modi più moderni dei quadraturisti di scuola emiliana.

Mancini avanza l’ipotesi che l’anonimo frescante sia un pittore locale, forse da identificare con Venturino Belante, già al servizio dei de Lazara e dei Selvatico, certamente in relazione con Manfredo Conti perché conduttore, nel 1670, di una casetta di sua proprietà in zona San Pietro (Padova, Archivio di Stato, Estimo, 1668, 619, c. IOV).

Emanuele Principi

Biblioteca

Come rileva Ton (2018, p. 233) lo stato di conservazione degli affreschi della volta è cattivo, prevalentemente a causa dell’incendio che nel 1995 li ha pesantemente compromessi, e nonostante il restauro del 2011 vi abbia parzialmente posto rimedio.

Una intelaiatura quadraturistica di grande leggerezza corre lungo il perimetro dell’affresco, simulando una pietra iridescente ed aprendosi in alcune lunette con allegorie delle varie discipline, dipinte a simulare sculture bronzee: Retorica, Filosofia, Amore di Virtù, Studio, Matematica, Teologia, Etica, Storia, Ingegno, Intelletto, Poesia e Grammatica. Agli angoli troviamo alcuni putti, in finta pietra rossiccia, colti nell’atto di giocare con strumenti allusivi alle quattro arti, Architettura, Pittura, Musica e Scultura (una chiarificazione sull’iconografia è offerta da Fanzago, 1799).

La grande visione celeste centrale è dominata dal monte Elicona, ai lati del quale si sviluppano simmetricamente le scene. Nella parte alta compare un cielo percorso da nubi variamente illuminate dal globo solare che, al centro, avvolge la figura di Apollo: il complesso costituisce la rappresentazione del Trionfo della Sapienza. Poco a sinistra di Apollo è assisa Minerva, il cui scudo è retto da alcuni putti. Ai piedi del monte, alcuni saggi si abbeverano alla fonte fatta sgorgare dal colpo di zoccolo di Pegaso: sono varie figure, di diverso abbigliamento ed età, con i più anziani a porgere brocche ai più giovani. Sul lato destro, gli ignoranti si allontanano, facendo capire con ampi gesti di rifiutare l’acqua che viene loro offerta. Secondo l’interpretazione iconografica offerta da Fanzago, tra i saggi che si abbeverano alla fonte si potrebbero riconoscere “i generi differenti della Poesia Pastorale, Lirica, Bacchica, Epica, Drammatica”.

Parte integrante dell’apparato decorativo e del progetto iconografico è rappresentata dalla serie di busti in finto bronzo con Mosè, Omero, Cicerone e Dante, a indicare i quattro capostipiti delle tradizioni letterarie d’ogni tempo e letteratura. In alcune delle vele dipinte a mo’ di finta architettura fanno la loro comparsa alcune scritte in greco antico, traducibili come invito allo studio e alla conoscenza, secondo la lettura fornita da Franco Barbieri e riportata da Poppi (2012, pp. 255 e 322, nota 43) traducibili in “Bevi o vattene” e in “Colui che sente un amore fraterno previene il bisogno dei confratelli”.

Ton (2018, p. 237) intercetta, nell’impianto decorativo, un’appartenenza ad un certo rococò alpino o internazionale, giocato su forme spiritose e ricercatezze cromatiche lontane da una troppo rigida impostazione plastica, dallo studioso ricondotta all’ampiezza di esperienza di Le Grù (attivo anche in Baviera, nel mantovano e a Bergamo).

Una data, “1755”, leggibile sul pavimento della biblioteca può essere considerata come termine post quem per la datazione, mentre sappiamo che la biblioteca era terminata e “finita ogni cosa” (Fanzago 1799) nell’anno 1761, anno assumibile come ante quem. Ton circoscrive con più precisione allo stretto giro d’anni attorno al 1760 l’esecuzione degli affreschi, in quanto pittore e quadraturista sono attestati da Rossetti in collaborazione, proprio in data 1760, nella decorazione del perduto palazzo Foratti di Montagnana (2018, p. 240).

È sempre Ton (Ivi, p. 241) a rilevare una discontinuità “sconcertante” nella definizione di alcune figure, aprendo all’ipotesi che parte della decorazione sia stata irrimediabilmente compromessa in occasione dell’incendio del 1995, in particolare nella parte destra dell’affresco soffittale.

Emanuele Principi

Vano scale

Una decorazione a leggero ornato è identificabile sulle pareti del vano scale: vi sono racchiusi piccoli paesaggi realizzati da un pittore anonimo dell’ultimo quarto del XVIII secolo.

Sempre anonimo, ma differente, è il pittore occupatosi della decorazione soffittale, raffigurante Due amorini in volo che tengono un uccellino legato ad un filo.

Palazzina: Stanza delle Vedute Prospettiche

La superficie delle pareti della Stanza delle Vedute Prospettiche, ubicata al piano terra della palazzina, è rivestita interamente da sei vedute prospettiche a sfondo paesaggistico, contornate da una cornice in bugnato, mentre le sovrapporte presentano decorazioni con vasi e cartigli. Le vele presentano fregi e ornati, mentre l’ovale sulla volta è decorato da una scena allegorica.

Secondo la cronaca di Gennari (Notizie, 1739-1800, ed. 1982-1984, I, 1982, pp. 395-396) il ciclo sarebbe stato realizzato dai fratelli Antonio, Romualdo e Domenico Mauri su commissione del conte Andrea Selvatico, all’altezza dell’ottobre 1785.

Emanuele Principi